Vancouver 2010

Svindal che fenomeno, Heel che sfortuna a 2 centesimi dal podio

Supergigante. Il norvegese d’oro a due anni dall’incidente che poteva chiudergli la carriera. Miller secondo. Ottimi gli azzurri: Innerhofer sesto e Staudacher settimo. Bronzo alla sorpresa Weibrecht

Svindal che fenomeno,  Heel che sfortuna a 2 centesimi dal podio

Whistler Mountain «Ahi ahi ahi». Proprio così, le prime parole di Christof Innerhofer inquadrano perfettamente la giornata, ahi ahi ahi, che dolore. Cos'altro si può dire dopo una gara che in undici centesimi vede raggruppati sei atleti, con la differenza che per due di loro sono arrivate le medaglie con tutto ciò che ne consegue e per gli altri nulla, solo tanta rabbia? Purtroppo in questo giro di giostra è andata male ai nostri, così come è andata male allo svedese Jaerbyn. Dopo un brutto volo nell’ultima parte di gara è stato trasportato d’urgenza in ospedale: cosciente, con una commozione cerebrale, ma senza lesioni alla colonna vertebrale.
Come spesso ultimamente accade nelle gare importanti di sci alpino sono i centesimi a fare la differenza: basti pensare ai 4/100 che l'anno scorso ai Mondiali privarono la Karbon non di una, ma di due medaglie. «Le altre erano state più veloci di me», ha ripetuto da allora la dolce Denise e anche ieri è successo lo stesso, cronometro e classifica alla mano: Miller secondo e Weibrecht terzo, sul podio alle spalle di Aksel Lund Svindal, una spanna sopra tutti, sono stati più veloci dei nostri Heel, quarto a 2/100 dal bronzo e 5 dall'argento, Innerhofer, sesto a 8/100 dal bronzo e Staudacher 7° a 9. Una beffa. L'Italia che aspetta una medaglia dallo sci alpino maschile dai tempi d'oro di Tomba (argento in slalom a Lillehammer '94) resta ancora una volta a secco, ma stavolta è più dura che mai, perché se in passato si era potuto dire e scrivere che i nostri non ci avevano creduto o provato, ieri no, ieri tutti e quattro gli altoatesini in gara sono stati bravissimi, a cominciare dal primo al via, Peter Fill, che prima dell'errore fatale davanti al traguardo (tagliato rotolando, senza sci e con una caviglia acciaccata, è in dubbio ora la supercombinata di domani) stava andando anche meglio dei compagni.
Aveva tracciato Gianluca Rulfi, l'allenatore azzurro, un disegno insidioso dove il trucco era trovare il giusto compromesso fra il mollare e il tenere gli sci. Heel, Innerhofer e Staudacher sono stati fra i migliori ad interpretare la pista, i numeri parlano chiaro, ma qualche errorino per Staudi, un erroraccio più grave per Inner e una partenza non esaltante per Heel sono bastati a fare la differenza. «Io dico invece che dal secondo, Miller, al settimo, Staudacher, abbiamo sciato tutti allo stesso modo, cioè bene, l'errore ci sta sempre, chi non ne fa, il problema a volte è anche la fortuna e noi oggi di sicuro non ne abbiamo avuta, perché siamo in tre fuori dal podio per un niente quando invece avremmo potuto essere secondi e terzi come gli americani» è il commento amaro di Innerhofer, che un anno fa ai Mondiali, sempre in superG, aveva perso il bronzo per 5/100. Più fatalista Heel: «Anch'io dico che la fortuna non ci ha aiutato, e nello sci ce ne vuole tanta, ma sono anche orgoglioso di aver raggiunto questo risultato, il migliore di un italiano all'Olimpiade dai tempi di Tomba. Della mia gara sono contento a metà, avrei potuto sciare meglio in alto, in ogni caso l'atteggiamento era almeno quello giusto, non come in discesa dove veramente non ho fatto nulla per raggiungere il risultato. Niente medaglia? La vita è così, dà e toglie, spero che la prossima volta sia più generosa con me». «Adesso mi tocca arrivare fino a Sochi» è invece il commento di Patrick Staudacher, che appena giunto al traguardo ha capito che il podio per lui sarebbe stato una chimera: «Quando mi sono visto 8/100 dietro a Weibrecht ho avuto netta la sensazione che quel distacco potesse valere la medaglia».
A proposito di Weibrecht, 24 anni appena compiuti, va sottolineata ancora una volta la capacità degli americani di dare il massimo all'ora X, basti pensare che finora il suo miglior risultato in carriera era stato un decimo posto. È al suo di posto che doveva esserci almeno uno dei nostri, Svindal e Miller va beh, ci possono anche stare davanti, non vengono messi in discussione da nessuno, ma lui, Andrew, no, poteva aspettare la prossima gara di coppa per salire sul primo podio della vita.

Werner Heel meritava molto più di lui.

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