Tassare i piccoli imprenditori serve solo a frenare la crescita

Il viceministro alle Finanze Vincenzo Visco è ormai un maestro nelle intimidazioni. Dopo quella nei confronti del vertice della Guardia di Finanza per trasferire chi indagava sugli affari tra Unipol e il suo partito, ha puntato l’indice sul cosiddetto «popolo della partita Iva», proponendo un’incongrua revisione dei parametri degli studi di settore.
Con questo sistema il governo presume che piccoli imprenditori, professionisti, artigiani e commercianti nel 2007 guadagneranno molto più dell’anno precedente e li obbliga a versare più tasse o ad essere sottoposti ad aggressive verifiche.
Ci troviamo di fronte a una vera e propria intimidazione fiscale, che politicamente va letta come l’anticamera di quello Stato di polizia fiscale che ancora sognano dalle parti della sinistra italiana. La balzana proposta di Visco è riuscita a scontentare tutti. Si sono fatte sentire le categorie, compresa la diessina Confesercenti, e i leader della maggioranza. Rutelli ha chiesto di ascoltare le preoccupazioni dei piccoli imprenditori (ma sugli allarmi del vicepremier basta rileggersi l’articolo di Giancarlo Perna sul Giornale di qualche giorno fa per capire che trattasi di aria fritta) mentre Fassino ha chiesto al governo di incontrare gli interessati, come se lui fosse un turista della politica e non il segretario del primo partito della maggioranza.
Dietro l’idea di Visco si nasconde un disegno molto amato dalla sinistra italiana e da quella comunista in tutto il mondo. L'obiettivo è colpire il lavoro autonomo, tassandolo al punto da non farlo crescere. Basti pensare che con i nuovi parametri degli studi di settore ogni partita iva dovrà pagare da 312 a 372 euro di imposte per ogni 516 di ricavi in più (dati forniti da uno studio della Cgia di Mestre). Ciò significa che lo Stato scoraggia a produrre maggiore ricchezza.
È illusorio pensare che con queste misure si possano ricavare tre miliardi di euro in più di imposte, come spera Visco. Il rischio è che lo Stato non incassi quanto previsto e imprenditori, professionisti, commercianti, artigiani preferiscano frenare la crescita, ritenendo inutile lavorare sodo per dare gran parte di ciò che producono allo Stato sprecone.
Neanche di fronte al pessimo risultato ottenuto al Nord nelle amministrative la sinistra ha compreso che tartassando la parte più produttiva del Paese fa male a sé stessa e all’Italia. Il governo parte da una presunzione di evasione nei confronti di chi tiene in piedi l’economia e non comprende che per avere maggiore gettito fiscale serve la riduzione delle imposte, a partire dall’incremento dei ricavi. Uno Stato veramente liberale dovrebbe dire ai lavoratori autonomi di lavorare di più per far aumentare il Pil, promettendo di tassare poco o niente l’incremento dei ricavi, stimolando gli interessati a rimboccarsi le maniche per la ricchezza del Paese e della loro famiglia.

Questo atteggiamento ha l’obiettivo di colpire la cosiddetta classe media, quel blocco sociale, politico ed elettorale che ancora una volta ha mostrato di non fidarsi della sinistra affidandosi soprattutto a Forza Italia e alla Lega.
*Deputata Forza Italia

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