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Una telefonata non può cambiare la verità

Una telefonata non può cambiare la verità

Sono in molti a chiedere al presidente Berlusconi di fare la famosa telefonata a Prodi, presunto simbolo di una più serena civiltà politica. Gli telefona o no? Il rovello musicato da Gianna Nannini è ormai diventato, in alcuni ambienti mediatici, così forte da trasformare questa storia della «telefonata» una sorta di tormentone da «commedia all'italiana» paragonabile al «te piace 'o presepe?» dell'indimenticabile Eduardo. Anzi, varrebbe la pena che qualche comico la mettesse in scena proprio in napoletano: «'a telefunata».
Ebbene ho un suggerimento, quasi una preghiera, da rivolgere al presidente Berlusconi. La faccia, presidente, la faccia 'sta benedetta «telefunata». Soddisfi questa piccola ipocrisia della stampa italiana. Alzi la cornetta (ma è politically correct anche un cellulare) e ammetta, finalmente, la verità sancita dalla Cassazione. La verità, nient'altro che la verità. Dica dunque così: «Caro Prodi, lei non può governare il Paese. Non ha né il consenso né i numeri per farlo. Ha preso meno voti di noi al Senato e solo ventiquattromila voti in più alla Camera. Tralascio di ricordarle che, per di più, cinquecentomila dei suoi voti sono voti nostri in libera uscita (i pensionati di Fatuzzo, i socialdemocratici di Nicolazzi, la contestata Alleanza lombarda, Musumeci in Sicilia). Si è trattato di nostri errori: e chi è causa del suo mal pianga se stesso. Ma tralascio di ricordaglielo soprattutto perché ciò non cambia la realtà. E la realtà è che lei non ha, al Senato, la maggioranza per garantire un governo stabile. La chiamo per far contenti i media, ma penso che, conosciuto il risultato elettorale, avrebbe dovuto chiamarmi lei. Perché, vede, è lei che ha bisogno di noi. Non viceversa. Per noi, infatti, è infinitamente più semplice sederci sulla riva del fiume e attendere la sua inevitabile crisi. Celentano direbbe che “con ventiquattromila voti, veloci corrono le ore...”. Ma io non penso all'interesse di parte. Penso a quello del Paese. Cerco di stare in sintonia con gli italiani. Ebbene, gli italiani ci hanno detto che siamo pari e ci hanno dunque chiesto di aprire una nuova fase politica. Perciò ho avanzato l'idea, rischiando qualche incomprensione, di unirci intorno a quattro-cinque punti di riforma necessari al Paese. E, per un periodo di tempo limitato, prima di tornare al voto, realizzare un “governo di concordia”. Trasparente, serio. Si immagini quanto io ami gli inciuci o abbia voglia di governare con lei e la sua armata Brancaleone. Inoltre, tengo al bipolarismo più di lei, se non altro perché è nato con la mia scesa in campo».
«Se ho proposto un governo di concordia è perché, oggi, non esiste alcuna altra ipotesi di stabilità. Lei non l'ha capito e mi ha risposto con irritata maleducazione. Dice che ha il diritto di governare. Certo che ce l'ha. Ma non ha la forza per farlo: è questo il problema. Lei invece allegramente ignora il voto degli italiani. Si era fatto l'idea di avere cinque punti di vantaggio e a quell'idea, come un bambino viziato, è rimasto fermo. Lei chiude gli occhi di fronte alla realtà. Perciò vuole andare avanti da solo, in modo prepotente. Faccia pure. Sappia però che, così facendo, rischia di mettere in ginocchio il Paese, sottoponendolo alla paralisi. Per questo non mi sento di farle nessun augurio. Perché sarebbe un augurio contro l'Italia».
La faccia così questa telefonata, presidente. Forse né Prodi né i media saranno contenti. Eppure, ricorsi a parte, è proprio questa «la verità politica» certificata dalla Cassazione.

E non c'è fair play che possa oscurare la verità.

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