Cultura e Spettacoli

La televisione corre sul web per fare nuovi affari

Cosa fare quando arrivano i conquistadores, quando arrivano i barbari. Questa è la domanda che ogni civiltà deve porsi quando navi con grandi vele bianche sbarcano sulle sue coste, oppure quando lenti carriaggi iniziano in massa ad attraversare i confini. Bene, alla fine del primo decennio del web 2.0 sono i grandi potentati del teleschermo ad essere in ansia per l’arrivo delle orde che provengono dalla rete. I nomi delle «tribù» che avanzano suonano nuovi e minacciosi: streaming (flussi di dati audio e video sulla rete), file sharing (condivisione di immagini e musica che manda a farsi benedire il copyright), peer to peer (stessa solfa ma più anarchica...), il successo di YouTube e chi più ne ha più ne metta.
Insomma la televisione (intesa come elettrodomestico con telecomando) rischia sempre più spesso di essere surclassata. Classico esempio giusto per capirci. Il comico Benny Hill ha registrato i suoi programmi con la BBC e la Thames television. Una volta per vedere le sue gag non c’era che rivolgersi ai detentori di registrazioni e copyright e pagare. Ora su internet potete guardarlo per ore senza rendere conto a nessuno. E il meccanismo si applica a macchia d’olio, coinvolge programmi sempre più recenti, magari format costati barcate di euro o di dollari. Ma non c’è solo la spoliazione che «aggira» il copyright. C’è un sacco di materiale autoprodotto che finisce sulla rete e che magari agli utenti piace più di quei due o più comici stantii che un canale qualunque continua a sbattere in prima serata perché, giustamente, un contratto è un contratto. E non si tratta nemmeno di una novità visto che le major della musica muovendosi male su questo terreno e avendo imposto un secco niet ad ogni novità tecnologica (vedasi mp3) hanno finito per pagare un dazio altissimo.
Ecco perché i network più dinamici hanno cominciato ad attrezzarsi. Una volta capito che a colpi di avvocati non ne sarebbero mai usciti, hanno deciso di sbarcare loro su internet prima che internet finisse per sbranarli. All’estero la pratica internet television è stata aperta già da un bel po’: colossi come BbciPlayer e AbciView che sono ormai dei canali on demand rodati. Ora anche in Italia la gara è aperta. Rai.tv mette a disposizione i programmi dell’ultima settimana già dal 2009 e dopo aver trafficato un po’ tra vari sofware video (c’è stata qualche empasse nel passaggio da windows player 11 a Silverlight) adesso il sito funziona egregiamente e oltre a dare accesso ai programmi della settimana passata è dotato di un motore di ricerca tematico (in soldoni tu gli dici più o meno quello che vuoi vedere e lui te lo trova, altro che telecomando da smanacciare). Rai ha poi sviluppato anche un canale su YouTube. Alla base di questo sbarco c’è anche un software (contant ID) che fa sì che qualsiasi contenuto con il copyright Rai venga caricato dagli utenti sia riconosciuto dal sistema che consente alla Rai di monetizzarlo (aggiungendoci la pubblicità). Come spiega Maria Ferreras di YouTube: «Questa tecnologia ci ha permesso di trovare un accordo con molti broadcasting che così traggono vantaggio dalla presenza su Youtube sia dal punto di vista economico che della visibilità».
Sulla stessa lunghezza d’onda, pardon, sullo stesso codice binario della Rai, La7 che proprio in questi giorni ha dato una bella rinfrescata alla sua versione in rete www.la7.tv (e che due mesi fa è sbarcata anche su YouTube con un suo canale). Al centro del restyling l’idea della catch-up TV con la possibilità di vedere tramite pc a schermo intero e ad alta definizione. Ad essere privilegiata è l’interattività e la possibilità di personalizzare la navigazione: aumenta lo spazio di blog e forum con cui commentare i programmi. Quanto a Mediaset la sua discesa in campo, come spiega Yves Confalonieri nell’intervista di questa pagina, è sempre più massiccia e mirata a conquistare rapidamente utenti e spazi pubblicitari.
Senza contare che i singoli programmi ormai iniziano a trovare indispensabile il fatto di avere un loro spazio facebook (come le Invasioni Barbariche di Daria Bignardi o L’ultima parola di Gianluca Paragone) per far interagire lo spettatore. Ma perché proprio ora le televisioni si sono messe a far sul serio entrando in forze in quello che a lungo è stato considerato un territorio ostile?
La risposta viene dal mercato e una buona sintesi lo fornisce un recente studio del CosumerLab Ericsson. Su un campione di 300 milioni di consumatori tra Cina, Germania, Spagna, Svezia, Taiwan e Stati uniti. E se il 93% delle persone guarda la tv tradizionale almeno una volta a settimana, più del 70% sfrutta contenuti registrati on line e quasi il 50% utilizza già con cognizione di causa la televisione on demand sulla rete. Ecco quindi le conclusioni di Anders Erlandson senior advisor del Consumerlab: «Dal nostro studio emerge che il consumatore è alla ricerca di una soluzione che gli consenta di scegliere liberamente ciò che vuole, quando vuole». Insomma la caduta della grande muraglia del palinsesto, arriverà tra breve e i network hanno deciso di non trincerarsi, anzi di passare dall’altra parte. Anche perché se la prima rivoluzione, quella dell’on demand, è alle porte ma all’orizzonte si sta già avvicinando google tv, il super motore di ricerca che cancellerà ogni distinzione tra televisione e computer.

Ma questa è un altra storia che ci coinvolgerà tra tantissimo tempo (tipo un annetto).

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