Politica

La tentazione del Cavaliere

Cosa vuole Berlusconi? Se lo domandavano già in molti e da ieri ce n’è qualcuno in più. Mentre era in visita alla scuola estiva di Forza Italia, il Cavaliere si è lasciato sfuggire una frase sibillina, che è suonata come una campana a morto per l’attuale sistema elettorale: «Di fronte a quanto succede oggi, ho forti dubbi che nella realtà italiana il bipolarismo consenta al Paese di essere governato». Un’oretta dopo, mentre già sobbollivano le reazioni, il Cav. ha precisato che il bipolarismo non funziona con questa sinistra, ma che abbandonarlo sarebbe un tornare all’indietro.
Ho la sensazione che, come spesso gli accade, il leader della Cdl abbia dato sfogo a ciò che ha nel cuore e che abbia fatto una mezza retromarcia solo per evitare inutili tempeste politiche. A differenza di altri giornalisti, non sono un autorevole interprete e neppure il custode del Berlusconi-pensiero, ma sono persuaso che in queste settimane il capo dell’opposizione stia ripensando ai limiti dei suoi cinque anni a Palazzo Chigi. Più si fa concreta la possibilità che Prodi vada a casa e che si torni alle elezioni, più il Cav. credo s’interroghi sul modo di evitare gli errori del passato. L’uomo, come sapete, è un decisionista e gli brucia di non essere riuscito a varare alcune riforme che ritiene essenziali. La colpa va addebitata alla rissosità della coalizione: nonostante Forza Italia fosse stata votata quasi da un italiano su tre, alla fine era costretta a cedere a partiti che a malapena rappresentavano mezzo italiano su dieci. Così, mentre si fa strada la possibilità di un suo ritorno – o, per meglio dire, di una sua rivincita – Berlusconi guarda gli alleati e scuote il capo. Non ha alcuna voglia di essere ostaggio di Udc e An e perfino della Lega, che dopo la vittoria alle amministrative pare aver aumentato le sue pretese.
Dunque, credo che il Cav. cominci a pensare che il bipolarismo, senza una legge che attribuisca al premier maggiori poteri (per esempio la possibilità di sciogliere il Parlamento se la maggioranza non lo lascia lavorare, ma anche l’autorità di licenziare un ministro senza dover per forza aprire una crisi di governo), sia una camicia di forza per chi è maggioranza nella coalizione e un’arma di ricatto formidabile per chi è minoranza: senza i voti dei partitini non si vince e quando si è vinto non si governa. Di qui, ho la sensazione che Berlusconi inizi a guardare con occhi diversi a una legge proporzionale, che consenta a ognuno di correre per conto proprio, lasciando aperte al dopo elezioni le alleanze. Un sistema del genere naturalmente funzionerebbe solo con uno sbarramento al 5 per cento, che liquidasse i partiti dello zero virgola, ma forse anche qualcun altro, e riconoscesse solo i gruppi forti in alcune regioni. Così chi vince non ha le mani legate e può cercare intese su un programma chiaro.
Francamente non so se la soluzione possa funzionare in un Paese di voltagabbana. Di sicuro dopo i disastri del centrosinistra l’Italia avrà bisogno di una cura energica e non potrà certo passare il proprio tempo a discutere di cosa voglia dire discontinuità come accadde nel 2005 grazie a Marco Follini & amici. Per questo se qualcuno prova a liquidare gli zero virgola e a semplificare la politica italiana gode di tutta la mia stima.

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