Vancouver 2010

Tomba : "Come me, veloce e feroce"

La "bomba" in lacrime 22 anni dopo il suo oro a Calgary. Prima l'sms a Giuliano, poi il suggerimento agli azzurri

Tomba : "Come me, veloce e feroce"

Whistler Mountain - Alberto è in lacrime, forse più emozionato d’allora perché certi sentimenti, certe sensazioni si comprendono appieno solo con l’età. Il 27 febbraio del 1988 era lui l’azzurro sul gradino più alto del podio e ventidue anni dopo un altro italiano, un altro emiliano lo rende l’ex campione più felice del mondo.

Alberto, che cosa hai scritto a Giuliano nei tuoi ormai celebri sms porta fortuna?
«Solo occhi aperti e sii veloce e feroce».

Dunque confermato: sono veri e propri amuleti.
«Ho scritto alla Mancuso e alla Riesch, hanno vinto tante medaglie. La Riesch è anche venuta a Casa Italia per farsi fare una foto con me».

Ma è vero che ne hai ricevuto anche uno particolare proprio da Giuliano?
«Gli avrei scritto la sera della vigilia e invece venerdì mattina mi sono svegliato e ho trovato il suo messaggio: sei pronto? mi chiedeva, e poi, ah no, cavoli, stavolta devo essere pronto io!».

Ed era pronto.
«Eccome, grandissimo, perché lo slalom non è mica facile e perché adesso sono cavoli per tutti gli altri».

Alberto, sei qui come inviato di Sky, ma il Canada ’88, gli ori di Calgary...
«E infatti dopo 22 anni, ho voluto tornare proprio a Calgary per sciare sulle piste dei miei due ori olimpici. Un'emozione incredibile, già salendo in seggiovia avevo la pelle d'oca. Sono stato alla partenza del gigante e ho sciato l'ultimo tratto. Poi sono anche stato in città, nella piazza delle premiazioni, ma di quella non ricordavo nulla».

Razzoli a parte, dovessi eleggere lo sciatore simbolo di Vancouver 2010?
«Aksel Lund Svindal, un oro, un argento e un bronzo. Era favorito e non ha fallito. Questa per me è una cosa da grandi».

Se adesso venisse qui il presidente federale e ti dicesse «Tomba lei ha carta bianca per decidere come far lavorare le squadre»... Cosa faresti?
«La prima cosa che farei è chiamare gli atleti uno a uno e chiedergli cosa vogliono fare, che problemi hanno, che obiettivi, mi farei raccontare tutto sul loro materiale, sci e scarponi soprattutto, cercherei di capire, approfondire, arricchire il rapporto personale. Poi organizzerei raduni di allenamento misti, sempre, uomini e donne assieme».

Lo scopo?
«Le donne possono solo migliorare sciando con gli uomini, che a loro volta per non farsi avvicinare troppo sarebbero stimolati a dare il massimo: farsi battere da una donna non è bello...».

Qualcuno dice che i nostri sono troppo specializzati.
«Non sono d'accordo. La polivalenza non si crea, e nelle grandi squadre è difficilmente praticabile a meno di non avere un fenomeno, perché è solo specializzandosi che un atleta riesce a emergere. Per un norvegese o un americano è più facile, sono in pochi. Anche limitarsi a una sola specialità però è sbagliato, se ne devono fare almeno due, ma uno slalomista che fa discesa io non lo capisco».

Sono sempre tanti i nostalgici del «quando c’era Tomba»: a te che effetto fa?
«Non ne posso più, sono davvero dispiaciuto per questa situazione, a volte mi verrebbe da tornare a fare gare per levare un po' di pressione ai ragazzi della squadra. Ma a chi pensa che ho rovinato generazioni di sciatori rispondo: cosa ci posso fare? Però vi è piaciuto quando c’ero io, eh! E quanto bene ho fatto io allo sci?».

L'idea di un ritorno non ti ha davvero mai sfiorato?
«Tante volte, due anni dopo il ritiro, nel 2000, avrei potuto riprendere e sono sicuro che non sarei andato male. Il problema dello sci sono i regolamenti, Schumacher o un tennista stanno fuori, tornano dopo anni e riprendono da dove hanno lasciato, con una grande macchina o una wild card. Se Tomba fosse tornato avrebbe dovuto ripartire per ultimo, in mezzo ai ragazzini nelle gare Fis. Non è giusto».

Perché quando c’eri tu non si parlava mai di piste ripide o piane, di neve molle o dura, e insomma andava quasi sempre tutto bene?
«Eh, ma questo non lo devo dire io!».

Eri il più forte e basta, è questa la risposta?
«Basta guardare il numero di gare vinte in carriera, no? 50 non sono 6 e nemmeno 10. Non basta aver vinto qualche volta per arrivare sicuri al giorno X. Io arrivavo ai grandi appuntamenti convinto di essere il più forte e poi riuscivo a sdrammatizzare, la vivevo come un gioco, mi divertivo. Ora vedo troppe tensioni.

Razzoli è un po’ come me, sereno, ma fa solo slalom e lo slalom è la gara più a rischio».

Commenti