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L'Italia si riprende i laureati "rubati" che dicono addio a Francia e Germania

Borse di studio e finanziamenti ai laureati che lasciano un lavoro all'estero. Così le Regioni sono scese in campo per richiamare in Italia i giovani più promettenti

L'Italia si riprende i laureati "rubati" che dicono addio a Francia e Germania

In Italia, fra le persone in età da lavoro, solo una su sei ha in tasca una laurea. Un numero bassissimo, che relega il nostro Paese al penultimo posto nell'Ue, come ha recentemente certificato l'istituto di statistica europeo Eurostat. Il dato è aggravato da un altro fenomeno: il boom finora inarrestabile dei cosiddetti cervelli in fuga. Giovani che all'interno dei confini nazionali si sono formati ma che poi sono stati costretti a emigrare per trovare un'occupazione in linea con le loro aspirazioni.

Fra il 2006 e il 2016 sono stati quasi due milioni i nostri connazionali letteralmente scappati oltreconfine per costruire il proprio futuro. In nove casi su dieci si è trattato di persone laureate o in possesso di un titolo di studio superiore alla laurea -, come hanno messo in evidenza Istat, Censis e Aire, l'anagrafe degli italiani residenti all'estero. Ai primi posti tra le destinazioni preferite ci sono (Germania, Regno Unito e Francia. Paesi che si arricchiscono dei nostri cervelli e del nostro know how, mentre lo Stato italiano spende circa il quattro per cento del Pil per formare giovani destinati ad andare altrove.

«Secondo il rapporto 2017 Le sfide della politica economica del centro studi di Confindustria, il 51 per cento del totale degli emigrati ha fra i 15 e i 39 anni», conferma Chiara Binelli, ricercatrice dell'università Bicocca di Milano e co-direttore del Centro per la ricerca e il progresso sociale. «Considerando che la spesa familiare per la crescita e l'educazione di un figlio, dalla nascita ai 25 anni, può essere stimata intorno ai 165mila euro, l'Italia ha perso 42,8 miliardi di euro di investimenti in capitale umano. A questa perdita va aggiunta la spesa sostenuta dallo Stato per la formazione dei giovani che hanno lasciato il Paese: 5,6 miliardi se si considera la spesa media per studente dalla scuola primaria all'università. In totale, il rapporto stima una perdita complessiva di 14 miliardi solo nel 2015».

BORSE DI DENARO

Ma qualcosa potrebbe cambiare. Il merito è di alcune amministrazioni locali, che hanno lanciato una serie di programmi per richiamare i giovani più promettenti. Ma anche agevolazioni fiscali per attirare capitale umano, in particolare docenti e ricercatori universitari, studenti laureati con esperienze professionali all'estero, manager e lavoratori con alte qualificazioni e specializzazioni. Insomma, l'Italia finalmente si muove per far tornare in patria chi è stato costretto a emigrare per fare carriera. Con una serie di programmi ad hoc. Il più ambizioso è quello della Regione Veneto che ha stanziato 1,5 milioni di euro per richiamare diplomati e laureati.

Si chiamano «borse di rientro», vere e proprie borse di studio per finanziare proposte e progetti che possano favorire il ritorno in patria dei lavoratori più qualificati. Spiega l'assessore regionale al Lavoro e alla Formazione, Elena Donazzan: «L'Italia finora è stata una sorta di donatore universale, dal nostro territorio partono più giovani laureati e diplomati di quanti ne rientrino o ne arrivino dall'estero. Confindustria ha calcolato che ogni anno il nostro Paese perde 14 miliardi di Pil a causa della fuga oltreconfine di studenti e laureati. Vogliamo invertire la tendenza e contrastare il basso assorbimento da parte delle piccole e medie imprese di lavoratori qualificati, come pure la tendenza a incentivare pubblicazioni o brevetti e creazioni di start up. L'obiettivo ultimo è garantire idee, competenze e professionalità al Veneto del futuro».

Il denaro messo a disposizione potrà finanziare progetti innovativi in campo tecnologico o sociale e culturale, eventi di animazione del territorio, scambi internazionali, con il coinvolgimento diretto delle imprese nel progettare poli di attrazione di ricercatori e idee innovative. «Questo bando è una scommessa sul futuro, sulla capacità del sistema Veneto di attrarre o di incubare nuove idee e nuovi progetti. Basti pensare all'industria culturale, che da sola rappresenta oltre il 6 per cento del prodotto interno lordo, e che può rappresentare un terreno fertile per generare idee innovative e nuove imprese ad alto valore aggiunto nel capitale umano», conclude l'assessore. Insomma, qualcosa potrebbe cambiare, almeno in questa Regione che conta ben cinque milioni di propri cittadini attualmente residenti in un altro Paese.

EMIGRANTI 2.0

Germania, Regno Unito e Francia. Paesi che si arricchiscono dei nostri cervelli e del nostro know how, mentre lo Stato italiano spende circa il quattro per cento del Pil per formare giovani destinati ad andare altrove.

«Secondo il rapporto 2017 Le sfide della politica economica del centro studi di Confindustria, il 51 per cento del totale degli emigrati ha fra i 15 e i 39 anni», conferma Chiara Binelli, ricercatrice dell'università Bicocca di Milano e co-direttore del Centro per la ricerca e il progresso sociale. «Considerando che la spesa familiare per la crescita e l'educazione di un figlio, dalla nascita ai 25 anni, può essere stimata intorno ai 165mila euro, l'Italia ha perso 42,8 miliardi di euro di investimenti in capitale umano. A questa perdita va aggiunta la spesa sostenuta dallo Stato per la formazione dei giovani che hanno lasciato il Paese: 5,6 miliardi se si considera la spesa media per studente dalla scuola primaria all'università. In totale, il rapporto stima una perdita complessiva di 14 miliardi solo nel 2015».

Su questa stessa direzione si è mossa anche la Regione Lazio, che ha varato un programma battezzato «Torno subito». L'iniziativa finanzia attività di formazione fuori regione dedicate a laureandi o dottorandi che vogliano arricchire il proprio curriculum con esperienze nuove, ma siano intenzionati a mettere a frutto la loro esperienza nel territorio regionale. Il bando è stato lanciato per il quarto anno consecutivo all'inizio del 2018 ed è rivolto a giovani fra 18 e 35 anni disoccupati o inoccupati che siano residenti nel Lazio da almeno sei mesi e che vogliano mettersi in gioco in un'altra regione o all'estero per poi tornare a casa. Molto attiva su questo fronte è anche la Regione Umbria, che quest'anno ha riproposto il suo bando «Brain Back», attivo dal 2012. Anche in questo caso l'obiettivo è richiamare nella loro terra i cervelli scappati all'estero. I finanziamenti sono rivolti ai cittadini che vogliano aprire una start up, ma anche ai ricercatori emigrati ai quali sono dedicate specifiche borse di ricerca.

I BENEFICI

«Queste iniziative sono molto positive e credo abbiano un buon potenziale di successo prosegue Binelli -, ma la vera sfida adesso è fare in modo che chi rientra non abbandoni di nuovo l'Italia. Il nostro Paese dovrebbe promuovere un mercato del lavoro che funzioni con trasparenza e sia aperto a tutti, con le stesse regole di accesso per chi è italiano e per chi non lo è». In questa direzione sembra andare anche la politica fiscale nazionale, visto che dallo scorso marzo sono attive particolari agevolazioni per i cervelli interessati a tornare. In particolare questi benefici sono destinati a docenti e ricercatori (esenzione per quattro anni del 90 per cento del reddito da lavoro autonomo o dipendente prodotto in Italia), ai lavoratori rimpatriati, cioè tornati dall'estero (esenzione per cinque anni del 50 per cento del reddito da lavoro autonomo o dipendente prodotto in Italia) e ai nuovi residenti (imposta sostitutiva per 15 anni sui redditi prodotti all'estero). Misure fondamentali per dare nuova linfa all'economia.

«Il Paese può crescere solo se è in grado di riaccogliere i talenti più dinamici e qualificati che sanno muoversi nell'arena internazionale e hanno dimostrato con i fatti di valere quanto, se non più, dei coetanei europei commenta Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale all'Università Cattolica di Milano -. Se l'Italia dimostra di essere attrattiva nei loro confronti significa che è pronta a inserirsi nei percorsi più promettenti di sviluppo di questo secolo, con ricadute positive anche per chi decide di rimanere. Ma perché questo avvenga, oltre all'impegno delle istituzioni, serve anche un innalzamento della domanda di lavoro di qualità da parte delle imprese, insieme a condizioni più favorevoli per l'imprenditorialità giovanile». Ed è proprio questo uno dei limiti del nostro Paese. L'assenza, ancora, di condizioni ideali per chi voglia realizzarsi a 360 gradi. «Per questo serve un cambiamento culturale conclude Rosina -. Nelle generazioni più mature esistono molti stereotipi sulle nuove generazioni, una tendenza più a giudicare che a comprendere. Consideriamo i giovani o figli da proteggere o manodopera a basso costo da sfruttare.

E invece, se ben formati e impiegati, sono le risorse principali per far crescere le aziende e il Paese».

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