Cultura e Spettacoli

"Tornare alla Scala? Adesso seguo altri percorsi"

Dopo gli anni milanesi il maestro Riccardo Muti predilige i Wiener, l’Orchestra di Chicago e la musica napoletana. E racconta: "Porto all'estero l'antica tradizione pugliese". Nel suo Requiem wchi di religiosità popolare

"Tornare alla Scala? Adesso seguo altri percorsi"

Salisburgo - Riccardo Muti guarda sorridendo con gli occhi stretti d’ironia i giornalisti italiani quando lo avvicinano. Si aspetta la domanda: quando torna alla Scala? Ed allarga le braccia appena un poco. Come ha già risposto da tempo, ripete: «Sto facendo un altro percorso». Tutto qui. Ha concentrato per anni la sua attività nel teatro milanese, adesso la sua vita è dedicata alle grandi orchestre internazionali, dai fantasiosissimi Wiener Philharmoniker, all’Orchestra Sinfonica di Chicago, di cui dal prossimo anno sarà direttore musicale, fino all’altrettanto mitica Filarmonica di Berlino; per il teatro c’è l’Opera di Roma e per concerti e teatro le produzioni e le tournée con l’orchestra giovanile Cherubini. Se gli rimanesse qualche giorno di libertà, c’è da giurare che scapperebbe nel campo con trulli che si è comperato sulle pendici di Castel del Monte, con la vista là in fondo della cattedrale romanica di Trani, severa e serena in riva al mare.
Siamo alla fine della prova del Requiem di Paisiello, l’affettuoso cantore pugliese appartenente alla scuola napoletana. A un certo punto, la Felsenreischule è stata sommersa dal sontuoso scampanio dell’annuncio di Pentecoste, per alcuni minuti. I due riti si sono mescolati, quello solenne e austero della tradizione austriaca e quello intimo, libero, patetico di Paisiello.

Fa un certo effetto ascoltare qui, presso le fredde rocce di Salisburgo, la preghiera intonata come nel nostro Sud.
«Io vengo dalla cultura della parola sacra, come ha le sue radici nell’antica tradizione pugliese. Una religiosità popolare, fatta di tenerezza, che in questa musica rimane anche se portata verso il sublime. In certe frasi sento l’eco delle voci strascicate delle vecchie nelle chiese, le invocazioni ripetute con tanta semplicità ricordano quelle cerimonie funebri, le sento risuonare meravigliosamente nella quadrifonia che Paisiello si è inventato: la doppia orchestra, il doppio coro con i solisti aggiunti che nel coro cantano, e quegli strumenti ancora più lontani, con l’oscuro suono dei corni... strumenti “sotto il tumulo”, indica Paisiello. Poi, mostra anche la sua grande mano di contrappuntista, per esempio nel Benedictus. Ma la temperie è quella della sua tradizione nativa».

Emozionante come gli Austriaci accolgono questa musica napoletana: l’altra sera applaudendo ad ogni aria le antiche acrobazie dell’opera seria di Jommelli, ieri abbandonandosi...
«Io credo che le abbiano sempre sapute ascoltare. Mi viene da azzardare che i grandi cogliessero qualcosa, facendolo loro, di questo linguaggio, se non addirittura di questo Requiem. Fa effetto, nell’introduzione, ascoltare un passo che sembra nascere dalle marce funebri pugliesi e che somiglia molto all’attacco della marcia funebre della sinfonia Eroica, di Beethoven, e nella stessa tonalità.

E mi commuovo ascoltando la dolcezza di quella frase raccolta e confidente, tante volte ripetuta, del Querens me: quasi mi sembra di entrare con Paisiello nell’incanto di Schubert».

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