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L'eroe del Mundial '90 è diventato un mafioso (ma solo per fiction)

Venticinque anni dopo le "notti magiche" con la maglia della Nazionale in Romania spunta un fan club per le sue interpretazioni da attore. Lui rivela: "La politica mi ha cercato di nuovo. Ho risposto con un vaffa"

L'eroe del Mundial '90 è diventato un mafioso (ma solo per fiction)

Da calciatore ha sempre recitato coi piedi. E ora, da attore, le cose non sono cambiate un granché. Totò Schillaci ha giocato in tante squadre, ma solo una lo ha lanciato nella Champions League della celluloide: «Squadra antimafia». Serie televisiva per cultori di derby particolarmente sanguinari.

Ciak, si gira. Dall'auto sgangherata scende un boss vestito di bianco. Un ruolo che Totò aveva già «provato» da giocatore juventino vestito di bianco-nero quando, dopo un litigio a fine partita con Fabio Poli del Bologna, gli urlò in faccia: «Ti faccio sparare» («La frase fu fraintesa, volevo solo fargli capire che non avevo paura di nessuno...»). Seguirono polemiche e squalifica.

Nella realtà nessuno «sparò» mai a Poli; nella fiction di «Squadra antimafia», invece, a «essere sparato» sarà proprio il povero Totò. Con Schillaci special guest il regista del serial è stato implacabile. Tra la polvere di una periferia simil Gomorra (ma in salsa sicula), ecco spuntare Totò nei panni di «don Mannino». L'ex campione azzurro, per il suo primo epico big match mafioso, sfoggia a favore di telecamera ray-ban a specchio e baffetti da sparviero. Avanza minaccioso, come stesse puntando l'area di rigore. Davanti a lui saltella un pallone. Il motivo lo capiremo alla fine della scena. Totò boss (nulla a che fare col film comico «Totò, Peppino e i fuorilegge») scortato da quattro scagnozzi si accomoda al bar e ordina «il solito». Gli portano una strana bevanda verde (acqua e menta?) e, tra un sorso e l'altro, lui decide che un tale «deve essere fatto fuori». Davanti a Totò e ai suoi guardaspalle siede una banda rivale. Totò, oltre a bere acqua e menta, mangia anche la foglia. E così si rivolge minaccioso al clan rivale: «Che minchia avete da guardare?». Non l'avesse mai fatto. La baldanzosa comitiva si alza e da sotto il tavolo sfodera un arsenale che sforacchia i malcapitati compagni di reparto di Totò. Lui, attaccando lo spazio, tenta la fuga lungo la fascia laterale, ma viene raggiunto da un coriaceo marcatore a mano armata. Totò cade a terra. Non è simulazione di fallo. Si volta verso l'avversario e gli sputa addosso una frase peggio di quella riservata a Poli: «Spara se hai coraggio. Pezzo di merda!». Roba da cartellino rosso. Per fortuna l'arbitro non sente. Ma a sentire, per sfortuna di Totò, è il sicario, dal ghigno rassicurante come quello di Ringhio Gattuso. Il killer non ha pietà: punta il revolver sulla tempia di Totò, e fa fuoco. Il sangue schillacesco schizza e macchia di rosso il pallone, di cui ora comprendiamo finalmente il sofisticato messaggio simbolico. Sul cadavere di Totò scorrono i titoli di coda. «Non avrò meritato il premio Oscar, ma per quella interpretazione d'esordio in tanti mi hanno fatto i complimenti», racconta Totò. E chi l'ha detto che «non ha meritato il premio Oscar»? Prendete, ad esempio, il fan club «Totò Schillaci Botosani-Romania». Sarà pure che in Romania i grandi attori scarseggiano, fatto sta che dalle parti di Botosani il Totò in versione cinematografica (di rilievo il suo cammeo nel film «Amore, bugie e calcetto») piace quanto quello in versione goleador. Nello stesso sito rumeno si esaltano inoltre tutte le performance calcistiche (e non) del mitico Schillaci. E tra gli show extra sportivi di Totò rifulgono video-interviste e partecipazioni a programmi tv. Altro che le notti magiche del Mondiale '90: gol altrettanto spettacolari, con tanto di replica del celebre sguardo spiritato, Totò li ha infatti messi a segno nel salotto di Barbara D'Urso. Quando, in una memorabile puntata, fu ospitato con a seguito moglie e tre figli. Totò, come di regola sul divano d'ursiano , si sciolse sull'onda dei ricordi. Che divennero uno tsunami di lacrime quando in studio si rievocò la sua infanzia «povera e infelice». «Quando mi commuovo lo faccio sinceramente, mai a comando», assicura l'ex bomber lanciato dal Messina del ruvido Scoglio e poi approdato sui lidi dorati della Juventus di Boniperti e sul confortevole bagnasciuga dell'Inter di Pellegrini. A fine carriera volò in Giappone, ma gli occhi a mandorla dei nuovi compagni mal si adattavano agli occhi a noce del nostro eroe («Nel Sol Levante ho guadagnato tanti soldi, ma la nostalgia dell'Italia mi ha fatto quasi impazzire»). Ma a un certo punto dell'esistenza, Totò avverte anche la nostalgia della fama. Sarà per questo che nel 2009 dirà sì all'«Isola dei famosi» dove però l'unico vero famoso è lui («In quel programma gli italiani dimostrarono di amarmi ancora»). È impossibile non voler bene a Schillaci, uno che non se l'è mai tirata anche quando è stato a un passo dal Pallone d'oro ed era uno dei bomber più popolari al mondo. Uno che quando parla ispira simpatia, perché dice sempre quello che pensa (anche se non sempre pensa quello che dice).

Se non si corresse il rischio di offenderlo, si potrebbe dire che Schillaci è stato, per il calcio italiano, l'alter ego dell'onorevole Razzi.

Già, la politica. Per un breve periodo Totò ha bazzicato anche «brutta bestia»: «Ottenni a Palermo più di duemila preferenze, ma ben presto mi resi conto che certa gente era più interessata alle poltrone che ai problemi dei cittadini». Scottato dall'esperienza, Schillaci si è buttato sui giovani, la sua scuola calcio rappresenta il suo vero amore («Ma, innanzitutto, insegno ai ragazzi ad essere persone leali»). E leale, con tutti, Totò lo è sempre stato («Nei miei confronti in pochi però hanno fatto altrettanto. Quando sono tornato dal Giappone, mi sono offerto gratis a varie squadre. Ma nessuno mi ha voluto»). Eppure il suo era un palmarès da sogno. La Coppa Uefa e la Coppa Italia vinta nel '90 con la Juventus, anno in cui fu con 6 reti anche capocannoniere dei Mondiali disputati in Italia («Una stagione straordinaria in cui arrivai secondo anche nella classifica del Pallone d'oro, dietro solo al tedesco Matthäus»). Un successo creatore però anche di invidie e cattiverie («Cori vergognosi contro la mia famiglia. Soprattutto dalle tifoserie del Sud. Una cosa che mi ha fatto soffrire tantissimo»). Ma Totò non ha mai querelato nessuno, lui rispondeva in campo con l'unica arma che sapeva padroneggiare: i gol. Tanti e bellissimi. Una sorta di droga: «Non mi bastavano mai».

«Spesso giocava due partite in un giorno, un tempo e mezzo coi giovanissimi, uno con gli allievi», raccontava Francesco Scoglio, suo allenatore a Messina. «Il mio primo presidente - ricorda Totò - mi pagava a cottimo: 2.500 lire a rete e io ne facevo almeno 4 ogni partita, così mi assicuravo la paghetta settimanale». All'alba dei 25 anni la paghetta divenne però pagona. Schillaci arriva a Torino, ramo Juve. Uno come Totò nel salotto buono di una Vecchia Signora con la puzza sotto il naso. «Attorno a lui - annota Giorgio Dell'Arti nel suo documentatissimo «Catalogo dei viventi» - si respirava una saccente supponenza, nei per quella sua lingua imperfetta, che aveva il fiatone fin dalla prima dichiarazione, mentre le sue gambe non la smettevano mai di correre. E le braccia di esultare». In un'occasione quelle stesse braccia, invece di esultare, tirarono un pugno sul grugno miliardario dell'amico Baggio. Come andò lo ha raccontato lo stesso Totò a Premium calcio: «Io e Roby dividevamo la stessa camera, lui parlava poco, io niente. Eppure, nonostante questo, una volta facemmo a cazzotti: anzi, fui io a rifilargli un papagno. Motivo? Eravamo nello spogliatoio della Juve. Roberto stava scherzando con me, ma si lasciò prendere la mano e lo scherzo divenne pesante. Io reagii in quel modo e me ne pentii subito». L'ultima volta che gli hanno proposto di tornare a impegnarsi in politica, ha risposto senza esitare: «Andate tutti affanc...». E a chi gli contesta quella capigliatura un po' così - da boss col toupet - ribatte a muso duro: «Stavo diventando calvo. Così mi sono fatto il trapianto. Cosa c'è di strano? Le donne si rifanno il seno, io i capelli».

Per ulteriori informazioni - in tema tricologico - rivolgersi ad Antonio Conte.

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