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La triste felicità del papà «L’inferno è finito, mia figlia adesso è libera»

«I magistrati hanno avuto coraggio, finalmente anch’io potrò entrare in una condizione umana. I funerali? Non voglio parlarne. Sarà quel che sarà»

La triste felicità del papà «L’inferno è finito, mia figlia adesso è libera»

da Lecco

«Io ho vinto solo l'inferno. La mia battaglia servirà per le altre persone che si troveranno in questa situazione disumana. Ormai qui ci sono tre vite distrutte, la mia, quella di mia figlia e quella di mia moglie». Beppino Englaro ha dovuto imparare con il tempo a controllarsi. Perciò non festeggia quando apprende che giudici della Corte d'Appello civile di Milano hanno disposto di interrompere il trattamento di alimentazione e idratazione forzato che ancora tiene in vita la figlia Eluana. Solo inizia a respirare: «Finalmente posso entrare in una condizione umana». Sedici anni dopo quel 18 gennaio del 1992 in cui Eluana, una bella ragazza che allora aveva solo 21 anni, restò in coma dopo un incidente stradale. Nel 1996 i medici diagnosticarono uno stato vegetativo permanente. «Una situazione contro natura che ho chiesto in tutti i modi di cambiare», sintentizza Englaro.
Ora ce l'ha fatta. Cosa sono stati per lei questi anni?
«Un inferno. Sa cos'è un inferno? Ecco. La mia ossessione era il fatto di non poter rispettare la volontà di mia figlia. Eluana era un purosangue della libertà. Lei aveva deciso cosa sarebbe dovuto succedere in un caso come il suo. Aveva visto un suo amico, Alessandro, ridotto a un vegetale. E ci aveva detto che se si fosse trovata nella stessa situazione avrebbe preferito morire».
Per questo lei iniziò la sua battaglia?
«Nel 1996 iniziai a chiedere quel che ritenevo fosse giusto. Che Eluana potesse decidere per il suo destino. Se quella era stata la sua volontà, andava rispettata. Per questo è stato necessario che venissi nominato suo tutore. E ora finalmente i magistrati hanno preso una decisione coraggiosa: con Eluana, non per Eluana».
All'inizio erano tutti contrari, anche i medici che salvarono sua figlia tentarono di spiegarle che il mondo non è solo delle persone perfette e che certe situazioni vanno accettate.
«Quella ormai è acqua passata e comunque questo non fa parte del mio modo di pensare e neanche di quello di Eluana. In casa mia c'era l'accordo che nessuno, mai, avrebbe limitato la libertà dell'altro. Vedere che mia figlia era costretta in un letto di una clinica, con l'alimentazione forzata era una tortura. Era come sapere che ogni giorno qualcuno la violentava».
Sua moglie si è perfino ammalata per questo...
«Sì, ma l'ho sempre lasciata fuori da questa storia e continuerò a farlo per proteggerla».
Lo stato di Eluana ha perpetuato il suo dolore.
«La morte di un figlio è una tragedia ma può essere accettata. Lo stato vegetativo permanente no. Per questo ho chiesto solo che non le facessero del male. Non ho chiesto che le facessero del bene. Eppure non riuscivo ad ottenerlo. Chiedevo solo che non le facessero niente».
Ora sospenderanno la nutrizione e l'idratazione, poi lei potrà fare il funerale a sua figlia.
«Non voglio parlare di funerali. Per me quel che conta è la libertà. Come avverrà ciò che è stato disposto dai magistrati si saprà nei prossimi mesi. Di sicuro avverrà tutto secondo protocolli precisi».
Le suore della Casa di cura Lecco l'hanno sempre accudita con grande carità.
«Non è questo il punto. Eluana ha sempre avuto il massimo delle cure con il peggiore dei risultati. Per questo io consideravo queste cure violenza terapeutica perché lei non le avrebbe volute. Era il mio pensiero 24 ore su 24. Avevo 50 anni quando mia figlia subì quell'incidente. Ora ne ho ancora 67. E solo ora posso entrare nella dimensione umana. Non ho paura, perchè mia figlia diceva che la morte fa parte della vita.

Ma questa è la fine di un incubo».

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