Europei 2012

Il trucco? Se corre la palla non si suda

Loro andavano al doppio ma quest’anno hanno giocato più di noi. È il gioco italiano a essere più dispendioso

Il trucco? Se corre la palla non si suda

Cotta e incerottata. È l’immagine che rimarrà dell’Italia maltrattata dalla Spagna nella finale del­l’europeo. Anche perché la spedizione azzurra è statauni­ta pure nella spiegazione di una storica debacle: la stan­chezza. Una volta asciugate le lacrime per la delusione, è ini­ziata la cantilena. «Siamo arri­vati stanchi», ha detto Chielli­ni. «Ha inciso la stanchezza», gli ha fatto eco Bonucci. «Non c’è stato il tempo di recupera­re il campionato »,l’affondodi Prandelli. Il giorno dopo il ct ha fatto anche mea culpa: «Mi sono fatto dettare la formazio­ne dalla riconoscenza». Tra­dotto: qualche spremuto l’avrei potuto tenere fuori. Poi le statistiche raccontano un’altra verità: ad esempio che gli spagnoli alla fine han­no giocato tre giorni in più de­gli italiani nella stagione 2011-2012. E allora le ragioni di una prestazione così delu­dente, vanno ricercate altro­ve. Sicuramente non nei «cinguettii» che impazzano su twitter e agitano i fantasmi del doping sulla Spagna. La pensa così Stefano Tirelli, docente alla facoltà di scienze motorie dell’uni­versità Cattolica di Milano e preparatore atletico che ha l­a­vorato anche con Mourinho e giocatori come Essien. «Non c’entra il doping-specifica su­bito - . Piuttosto in Spagna ne­gli ultimi dieci anni c’è stato un salto di qualità nella cono­scenza della preparazione at­letica. Utilizzano metodi più evoluti rispetto all’Italia». Per Tirelli invece ha influito la «cla­morosa pressione mediatica, con tutta Italia convinta di vin­cere, che hanno dovuto sop­portare i giocatori ». Aspettati­ve che hanno finito per «schiacciarli con questa esal­taz­ione massima che ha influi­to sui muscoli con un’eccessi­va ansia per la performance».

In un torneo senza soste come può incidere il lavoro dello staff atletico? «Con le tecniche complementari sportive, una metodologia che utilizzo ­spiega Tirelli-e con­siste nella stimolazio­ne di punti ener­getici del­l’agopuntura, non necessariamente attraverso l’agopuntura». In questo modo si va a migliorare la capacità energetica e di conseguenza la prestazione. Il proble­ma dice Tirelli «è che da questo punto di vista non c’è apertura mentale in Italia». Insomma ha ragione Prandelli quando dice «siamo un paese vecchio che ha pau­ra di cambiare ».E che trova d’accordo an­che Giampiero Ven­trone, storico pre­paratore atleti­co della Juve targata Lippi. «In un torneo così lo staff atle­tico non può far altro che mantenere la condizione- spiega- . E abbassare i tempi di recupero. Ma ci sono tecniche poco uti­lizzate per mancanza di conoscenza. Dai sistemi di sinapsi all’alimentazione e in­tegrazione ». Tutto questo da solo non può comunque spiegare la disarmante differenza di condizione tra Spagna e Ita­lia. Ventrone aggiunge: «La Spagna con quella ragnatela di passaggi ha un di­spendio energetico molto basso, mentre la manovra dell’Italia spende molto di più. Per capirci con sei gare ristrette gli spagnoli consumano 50 litri, gli azzurri 100». Inoltre l’Italia aveva nelle gambe e nella testa la sfida coi tedeschi «più di una partita spinta, alla quale si è finito per pa­gare dazio », aggiunge Ventrone. Quindi la Germania ci ha sfiniti e svuo­tati. Lo pensa anche Eugenio Albarella, preparatore atletico del Giappone di Zac­cheroni: «In quella partita probabilmen­te gli italiani sono andati oltre le proprie potenzialità». Albarella inoltre ritiene che l’aspetto nervoso abbia inciso non poco perché «tolti Buffon e Pirlo, non ave­vamo giocatori in campo abituati a gioca­re partite del genere. Dall’altra parte c’era gente che aveva vinto tutto con club e nazionale». Di una cosa sono convinti lo stesso Albarella, Tirelli e Ventrone «non c’è stata forzatura nella gestione de­gli infortuni».

Ma è vero che uno al rien­tro può fare bene e nelle gare successive avere un calo? Oppure un turnover più accentuato avrebbe giova­to? A questo ha già risposto Pran­delli.

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