Medicina

Tutte le insidie dell’ipertensione

L’ipertensione arteriosa è una condizione patologica che interessa oltre il 60% degli italiani con più di 65 anni (studio Ilsa del CNR) ed è riconosciuta come uno dei più importanti fattori di rischio cardiovascolare. In Italia gli stessi medici ipertesi sono restii ad assumere il ruolo di paziente e ad aderire correttamente alle cure. É quanto emerge da una ricerca realizzata dall’università La Sapienza di Roma sui comportamenti attuati dai medici di medicina generale quando sono ipertesi.
I risultati della ricerca fanno emergere il ruolo fondamentale del medico di medicina generale nella lotta all’ipertensione e sono stati messi a disposizione di un incontro organizzato a Milano da Takeda al fine di promuovere attenzione nei confronti delle criticità che ancora sussistono nella gestione della malattia ipertensiva. Tra i presenti Il professor Giuseppe Mancia, direttore della clinica medica dell’u niversità degli Studi di Milano-Bicocca e del dipartimento di medicina dell’ospedale San Gerardo di Monza. Mancia, già presidente della Società europea dell’ipertensione, è tra i più autorevoli studiosi di questa patologia.
Ancora oggi il numero dei pazienti ipertesi in soddisfacente controllo pressorio risulta scarso: in Italia non supera il 20% della popolazione trattata, con conseguenze rilevanti in termini di incremento di rischio cardiovascolare, e quindi di gravi eventi. Ciò avviene nonostante la disponibilità di numerosi farmaci impiegati per il trattamento dell’ipertensione arteriosa.
Tra le cause più note dell’insufficiente controllo pressorio, la scarsa attuabilità delle regole per un cambiamento dello stile di vita da parte dei pazienti, la ridotta aderenza al trattamento, l’inerzia terapeutica di alcuni medici nel modificare la terapia antiipertensiva e talvolta la presenza di forme di ipertensione resistente, difficili da trattare. Purtroppo, la padronanza della materia da parte del medico raramente risulta sufficiente a mutare lo stile di vita del medico iperteso.
Un importante contributo alla conoscenza dell’ipertensione ed alla gestione del paziente sarà fornito dallo studio Parsifal, realizzato presso ambulatori di medicina generale in Italia. L’analisi è stata condotta su 5mila pazienti ipertesi e con presenza di fattori di rischio quali fumo, obesità, ipercolesterolemia, sedentarietà e diabete di tipo 2. Lo studio Amidal ha invece l’obiettivo di valutare lo stato del controllo pressorio nelle 24 orenei pazienti ipertesi con valori pressori non adeguatamente controllati e in presenza di altri fattori di rischio cardiovascolare. Queste indagini sono state supportate da Takeda, la più grande azienda farmaceutica giapponese. Fondata ad Osaka nel 1781, Takeda è impegnata nella ricerca avanzata e nella valorizzazione delle risorse umane. Presente in tutto il mondo, nel 2011 ha acquisito l’azienda farmaceutica Nycomed, specializzata anche nell’area dell’ipertensione.
«La riduzione della spesa per il trattamento delle patologie cardiovascolari e dell’ipertensione - afferma Piervincenzo Colli, amministratore delegato di Takeda Italia - è l’utilizzo del farmaco brand a brevetto scaduto o del farmaco equivalente. Nell’ambito degli antipertensivi, abbiamo importanti e valide molecole che hanno perso o stanno per perdere il brevetto (tra cui il candesartan): questo significa, per i sistemi sanitario nazionale e regionali poter contare su una potenziale riduzione della spesa per questi farmaci che arriva fino al 50-60% sia che venga utilizzato il farmaco di marca sia quello equivalente.

Infatti, le imprese detentrici di questi farmaci brand a brevetto scaduto continuano a fornire l’aggiornamento scientifico agli operatori sanitari (medici di famiglia, specialisti, farmacisti ospedalieri e territoriali), continuano ad investire nella ricerca scientifica ed a garantire serietà di produzione, qualità ed efficacia, con prezzi sostenibili per la spesa pubblica, allineati a quelli del farmaco equivalente».

Commenti