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Per gli "under 35" a spasso c’è un futuro nell’agricoltura

La vendita dei terreni statali offre nuove possibilità per fare impresa: sono 43mila le imprese che potrebbero nascere in seguito alla vendita dei terreni agricoli da parte dello Stato

Il modo migliore per difendere la terra è lavorarla. È più faticoso di rompere le scatole a un carabiniere chiamandolo «pecorella», ma ci guadagni soldi e dignità. Lo Stato è un latifondista. Ha ancora 338mila ettari di terreni agricoli, spesso lasciati lì, abbandonati. Oltretutto non si è ben capito perché lo Stato debba improvvisarsi contadino. Che fare di tutta questa terra? Venderla. Questa è perlomeno l’idea del governo. Un primo passo ieri è stato fatto.

Il Senato ha approvato il pacchetto liberalizzazioni e tra gli emendamenti è passato anche questo progetto. I giovani su questo terreno avranno un diritto di prelazione e questo, secondo la Coldiretti, potrebbe far nascere 43mila nuove imprese agricole. L’idea è ancora un po’ monca, perché servirebbe anche la fiducia e il credito delle banche. Il vantaggio è che gli agricoltori godono di buone sovvenzioni dall’Europa. Sempre secondo la Coldiretti il 50 per cento delle aziende già esistenti in mano a under 35 chiedono di poter comprare e affittare nuove terre. Non è un caso. Negli ultimi 40 anni sono andati persi quasi 5 milioni di ettari di superficie coltivata, pari a due volte la Lombardia.

È chiaro. Nessuno pensa di rispondere alla disoccupazione giovanile dicendo andate a zappare. Solo che in Italia si parla poco dei contadini. Sono una figura che sembra appartenere al passato, evoca i latifondi pugliesi di Di Vittorio o i cafoni di Fontamara. Solo che da anni non è più così. Se c’è un mestiere che ha avuto il coraggio di cambiare è proprio quello del contadino. Un giovane su dieci ha scelto di fare impresa in agricoltura. C’è impresa, c’è coraggio, c’è innovazione. Quello che manca è la manodopera.
L’altro problema è il costo della terra. È più cara rispetto a Germania e Francia. Il valore medio ha superato i 18.400 euro per ettaro nel 2010, con differenze molto forti tra Nord e Sud. Si va dai mille euro all’ettaro dei pascoli della provincia di Catanzaro, ai vigneti della Toscana o del Trentino Alto Adige, dove si va dai 500mila al milione di euro. I terreni di pianura costano in media tre volte di più di quelli di montagna.

La verità è che fare l’imprenditore agricolo non è un mestiere per tutti. Ci vogliono appunto i soldi, serve coraggio, fatica, ma soprattutto idee e un livello culturale alto. La conferma arriva dai due ragazzi che hanno scommesso sul latte d’asina e ora esportano in Giappone creme e cosmetici. È la storia di Maria Letizia Gardoni, che parla della terra con la stessa forza di Rossella O’Hara. Eredita dalla nonna nove ettari. E lei a 19 anni decide che quella è la sua terra. Terra di Osimo in provincia di Ancona. Tre anni dopo è dottoressa in Agraria e investe tutta la sua vita nel coltivare ortaggi.

Il nonno di Vittorio Sangiorgio coltivava anche lui ortaggi, a Pagani, in provincia di Salerno. Come tanti in quelle terre aveva detto al nipote di scappare. Qui c’è solo fame. Vittorio non gli ha dato del tutto ascolto. È andato e tornato. In mezzo ci sono i suoi studi. Non ha ancora trent’anni e qualche anno fa è ripartito dall’azienda della madre, una serra, dove crescevano fiori. La sua scommessa è stata di portare quei fiori un po’ più in alto. Vittorio Sangiorgio costruisce giardini pensili. Per un terrazzo di 50 metri quadri chiede 80 euro al metro quadro, circo quattromila euro in tutto. Racconta: «Lo stipendio di chi lavora con me è di 1.300 euro al mese. Ma non è facile assumere qualcuno. Molti mi dicono no. Preferiscono lavorare a un call center per 500 euro quando va bene».

Troppo faticoso? «No, si vergognano di dire che fanno i contadini».

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