Cultura e Spettacoli

"Per credere in Dio basta ascoltare Bach"

Cardinale, biblista, una cultura enciclopedica. "Sugli immigrati la politica non deve perdere progettualità, no a un'Europa esclusivamente economica". "Le unioni civili? La Chiesa ha diritto di dire la sua, non solo in sacrestia"

"Per credere in Dio basta ascoltare Bach"

Gianfranco Ravasi, biblista, cardinale, uno degli uomini più colti del pianeta, chiamato da Ratzinger in Vaticano al ministero della Cultura, ha il dono di saper dare del tu a tutti. Merito della curiosità che lo porta ad indagare ogni campo del sapere, struggendosi in egual modo sugli ermetici testi di Amy Winehouse come sulle note di Arvo Part. Da quando è a Roma ha creato il «Cortile dei Gentili» dove far dialogare i potenti del mondo. In Senato, invece, ha appena presentato un documento sul fine vita che distilla le posizione della Chiesa per far ripartire il dibattito. Lui, intanto, sogna di andare in Iran e vorrebbe conoscere la Cina: le sue non sono colonne d'Ercole, ma pilastri di una consapevolezza: «Non sono geniale, ma un eclettico». Sarà, eppure ascoltarlo è già un poco credere. Credere che valga ancora la pena rallentare per capire e preferire sempre l'incontro allo scontro. Ad Expo, partendo dall'idea che metà del pianeta ha troppo cibo e non appetito e l'altra metà appetito ma non cibo, ha curato un padiglione che è una grande «tavola» di arte, storia e memoria per ricordare che non di solo pane vive l'uomo.

La mancanza di cibo muove da sempre il mondo: i greci fondavano colonie, i nostri nonni partivano con le valigie di cartone, per non dire dell'esodo biblico.

«L'uomo è per natura viator . La strada è la vita, come diceva Kerouac. La parola esodo è la categoria interpretativa del fenomeno. In epoca biblica fu la politica imperialistica di Ramses a scatenare le migrazioni, a volte guidate, a volte disperate. Mosè ha nome egizio, ha sposato una “faccia nera”, come definiscono sua moglie Zippora. Sarebbe uno straniero integrato, diremmo oggi. Eppure se ne deve andare».

Come guarderemo fra un secolo a queste migrazioni?

«Ora ne cogliamo l'immediato e dobbiamo pensare al contingente, ma la politica, come seppero fare in passato Adenauer, De Gasperi o Schuman, dovrebbe guardare oltre e non perdere la progettualità».

Come gestire il presente? Il caso Grecia dimostra che, se non c'è accordo all'interno dell'Europa, difficilmente potremo accogliere l'altro...

«Mi sono battuto per una Europa cristiana, non per ragioni religiose, ma innanzitutto culturali. Siamo uno dei continenti più affascinanti per la sua varietà. Oggi però l'Europa è ingrigita e concentrata solo su temi economici, come dimostra il caso della Grecia. Il cristianesimo, invece, già ai tempi dei Romani, è un collante di un'identità fatta di molti volti».

Dopo l'estate la Chiesa ha fatto passi concreti nei confronti dei migranti.

«L'accoglienza è nel Dna del cristianesimo: nel Levitico si legge “Quando un forestiero dimorerà presso di voi, lo tratterete come uno che è nato da voi”. È il manifesto dello Ius soli. Detto ciò, come dice Giacomo nelle Lettere “Non basta essere ascoltatori, ma anche facitori della parola”. Quindi la Chiesa deve fare autocritica. Francesco ci ha “fustigato” abbastanza».

Quali obiettivi si è posto a breve col suo dicastero?

«Sono due: un convegno mondiale sullo sport, trattando di doping, corruzione e violenza negli stadi. Inoltre sto creando un dipartimento sull'Economia. Non finanza, non solidarietà, ma “gratuità” come categoria economica. C'è una parabola araba: un uomo deve dividere 11 cammelli fra i tre figli. I conti non tornano finché un cammelliere non gli dona un 12º cammello. La divisione si fa, 6 al primogenito, 3 al secondo e 2 al terzo. Il cammello donato avanza, ma ha “sistemato” la spartizione. Al contrario di quanto scrive Silone in Fontamara: “Se è gratis c'è l'inganno”».

Troverete la quadra anche per le unioni civili?

«La Chiesa è un'istituzione pubblica: ha il diritto di fare affermazioni di principio non solo in sacrestia. Oggi, invece, c'è una tendenza alla secolarizzazione per cui la Chiesa dovrebbe sempre tacere. “Date a Cesare quel che è di Cesare” significa riconoscere l'autonomia della Politica. Però se si fa qualcosa contro la persona, la questione diviene etica e coinvolge anche lo spirito».

Un gesuita non parla mai a caso: Bergoglio sembra un uomo semplice e diretto. È così?

«Usa frasi semplici e non subordinate complesse; usa simboli, perfetti nella società delle immagini e ha una corporeità spontanea: all'udienza generale parla 20 minuti poi un'altra ora a braccio col pubblico. L'ex segretario Gaenswein ben disse: “Benedetto si ascolta, Francesco si guarda”».

Cosa farebbe se potesse fare il Papa per un giorno?

«Durante il conclave pensi che fuori c'è un miliardo di persone che attende: nessuno di noi desidera diventare Papa in quel momento. Uno dei problemi che io sentirei è, per esempio, la comunicazione. Ho una grammatica molto diversa dai giovani».

Quanto l'arte e il bello ci possono avvicinare a Dio?

«La via della bellezza è da sempre una lingua della religione. La bruttezza estetica genera bruttura etica. Oggi però si è celebrato un divorzio fra arte e fede. La prima è autoreferenziale, non si interroga più. La fede e la Chiesa si sono spesso rassegnate all'artigianato con chiese orribili».

Spesso si dice «Dio c'è» perché piace un libro, un film, una musica: qual è la sua lista, fede a parte?

«Un ateo come Cioran ha scritto di Bach che “Dopo la messa in Si minore” Dio deve esistere. Sottoscrivo ed aggiungo la volta di Michelangelo nella Sistina e i neuroni della scatola cranica: sono 100 miliardi quanto le stelle della Via Lattea. La complessità estrema di queste opere ti spinge a cercare un livello ulteriore che tenda all'infinito, al divino».

Twitta lei o la aiutano?

«Ogni mattina scrivo poi... “cinguettano” per me».

Quanto c'è di Roma e Milano nella sua formazione?

«Fin da giovane ho vissuto a Roma, studiando Teologia. A Roma mi sento a casa, è la patria storica e religiosa. Milano però resta la mia Itaca, il luogo dell'anima dove, da sempre, mi sento accolto».

È giusto pagare per entrare in Duomo o in altre chiese?

«La tutela di un bene è costosissima. Mi rendo conto che un biglietto sia come un graffio, ma in cambio le nostre direttive suggeriscono alle chiese di organizzare percorsi guidati per rendere qualcosa in cambio».

Don Camillo parlava al crocifisso: a lei risponde sempre?

«No, certamente: il problema del credere comprende il silenzio di Dio. Abramo sale il monte Moriah con un ordine divino incomprensibile: sacrificare il figlio. Eppure crede».

Paolo, Colombano, Ambrogio: la Chiesa è ancora in grado di esprimere figure di questa profondità?

«L'aspetto testimoniale della fede è fondamentale: penso a Madre Teresa di Calcutta e oggi all'esempio fortissimo del Papa».

Di chi vorrebbe vivere la vita per un giorno?

«Metto in fila alcuni pensatori da Platone, Agostino, Pascal, Dostoevskij, Kierkegaard: una linea non razionale, ma intuitiva, in cui la conoscenza usa l'estetica e le ragioni del cuore, non solo della mente. Amo molto la poesia anche se proprio per il grande rispetto che ne ho, non mi ci sono mai cimentato. Ecco, vorrei immergermi nella mente di chi arriva ad usare così bene questo linguaggio, superiore alla logica».

È vero che parla sette lingue?

«Più che parlarle le leggo. Dall'ebraico biblico al greco, amo le antiche, ma non riesco più a studiarle. Riprenderò quando sarò in pensione. Ricordo l'esaltazione nel leggere in lingua originale il Faust. Un'illuminazione. Spesso la traduzione impoverisce il senso delle cose».

Roma oggi può sostenere un Giubileo?

«Il Papa insiste che deve essere un Giubileo nelle Diocesi, un evento spirituale da vivere nella propria comunità. Certamente, poi, il pellegrinaggio, dalla Mecca a Khumbu Mela, è un forte simbolo in ogni religione».

Che cosa direbbe ad un marziano per spiegare il suo lavoro?

«Comunicherei per simboli: più persone che insieme ascoltano, poi si parlano e alla fine si salutano. Gli direi che mi occupo di dialogo. La grandezza dell'uomo sta nell'incontro».

Qual è il suo errore più grande?

«Eh! La fatica nel giudicare le persone. Ho sbagliato nel bene e nel male. Ho talvolta malriposto la mia fiducia oppure non ho valorizzato persone che la meritavano».

Un altro Papa ha detto «Non abbiate paura». È ancora possibile?

«Il mistero della persona umana è anche il peso del male che porta in sé. Le due sorelle maggiori sono fede e carità: chi le fa andare avanti è la speranza, la sorella più piccola. L'umanità di natura spera. Noi siamo nel tempo. E il tempo suppone il futuro.

Lo aspetti anche se un domani, per te almeno, finirà».

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