Mondo

Usa, per i repubblicani una "vittoria a metà". Obama tiene il Senato

Gli Stati Uniti virano a destra: trascinato dal Tea Party il partito repubblicano ottiene la maggioranza alla Camera ma non al Senato: la divisione dei seggi. Spunta una nuova stella: Marco Rubio, figlio di profughi cubani

Usa, per i repubblicani una "vittoria a metà". Obama tiene il Senato

Washington - L'America ha votato contro Obama, ma senza stroncarlo. Il partito repubblicano (Gop), trainato dal Tea Party, trionfa alla Camera ma non riesce a strappare la maggioranza al Senato (si votava per rinnovare un terzo dei suoi componenti), che resta ai democratici. L'avanzata del Gop si fa sentire anche nella battaglia per i governatori, dove strappa dieci Stati alla sinistra. Alla Camera, la speaker (presidente) liberal Nancy Pelosi lascerà il posto al capogruppo repubblicano John Boehner, al quale Obama ha telefonato per congratularsi: il presidente si è detto "pronto a lavorare con i repubblicani". Resta da capire come questo potrà avvenire. Il primo passo per una forma di collaborazione potrebbe essere, entro la fine dell'anno, al conferma, al Congresso, dei tagli fiscali voluti da George W. Bush. Mantenerli - con un discreto impegno per le casse dello Stato - vorrebbe dire, da parte dei democratici, dimostrare coi fatti la disponibilità ad una politica meno ideologica e più pragmatica.

Repubblicani, trionfo alla Camera

Le ultime proiezioni assegnano 240 seggi ai repubblicani (la maggioranza è a 218) e 183 ai democratici. Il Grand Old Party ha strappato ai democratici almeno 58 seggi, conquistando vittorie significative in tutto il Paese (tra gli altri 5 seggi in Pennsylvania, 5 in Ohio, almeno 3 in Florida, Illinois e Virginia, due in Georgia), ben oltre i 39 di cui avevano bisogno per scalzare la Pelosi e conquistare la guida delle commissioni, in modo da bloccare l'agenda di Obama. E' il più grande spostamento di potere da quando, nel 1994, con Clinton alla Casa Bianca, i repubblicani conquistarono 54 seggi.

Al Senato Obama tiene

L’elefantino vince anche al Senato ma non nella misura necessaria per ottenere la maggioranza. Ricordiamo, però, che per la Camera alta si rinnovavano 37 seggi. I repubblicani ne arrivano a controllare 46 su 100 e conquistano senatori in Indiana, North Dakota, Arkansas, Wisconsin, Pennsylvania. Persino il seggio in Illinois che fu di Obama.

La sfida per i governatori

Vittorie significative dei repubblicani anche nelle corse per i governatori, per lo meno nel centro del Paese: sospinto dal movimento del Tea Party, l’Elefantino si afferma nei maggiori Stati industriali e nel MidWest in Pennsylvania, Ohio, Michigan, Wisconsin e Iowa. Riconquista due bastioni conservatori, Kansas e Tennessee, ed anche il New Mexico. In Texas, lo Stato di George W. Bush, i democratici non riescono a scalzare il governatore Rick Perry. L’asinello, che prima delle elezioni aveva 26 governatori contro i 24 dei repubblicani, ha comunque centrato qualche exploit. A New York, il procuratore generale Andrew Cuomo ha facilmente sconfitto il repubblicano, Carl Paladino. In Massachusetts, il governatore Deeval Patrick ha vinto un secondo mandato. In California, finita l’era di Terminator, i democratici riconquistano il vertice con Jerry Brown. Ancora da definire le corse in Florida, Illinois, Connecticut, Maine, Minnesota, Oregono e Vermont

Alla destra il vecchio seggio di Obama

C'è un dato che deve far riflettere l'inquilino della Casa Bianca. Il seggio senatoriale dell’Illinois, che fu di Obama, è andato ai repubblicani. Mark Kirk ha sconfitto il democratico Alexi Gianoullias. E' molto probabile che, al di là della volontà di "punire" il presidente, abbia pesato lo scandalo dell'ex governatore dello Stato, il democratico Blagojevich, accusato di aver voluto vendere il seggio al miglior offerente (per legge spettava a lui il compito di nominare il sostituto di Obama nel seggio rimasto vacante, in attesa delle nuove elezioni).

Malgrado le accuse, Blagojevich si era avvalso delle sue prerogative nominando Roland Burris, che però ha ritenuto opportuno non candidarsi 2 novembre.

Commenti