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Vado, mi separo e torno: ecco il boom dei divorzi lampo all'estero

Negli ultimi cinque anni più di ottomila coppie hanno aggirato le lungaggini della nostra giustizia sciogliendo il matrimonio in altri Paesi europei. In Italia per dirsi addio servono dai quattro ai tredici anni: fuori, sei mesi

Si parte insieme, si torna divisi. Ecco a voi il divorzio lampo: da cinque anni è un vero boom, l'hanno già scelto ottomila coppie. sedicimila italiani che sono andati all'estero per scogliere velocemente un matrimonio che funziona più. E così, accanto ai fenomeni già noti del turismo procreativo a caccia di provette e di quello sessuale a caccia di notti brave, l'ultima moda si chiama «turismo divorzile».
In Italia i tempi sono lungho. Bisogna infatti attendere almeno quattro anni se si procede consensualmente nelle due pratiche di separazione e divorzio, che diventano tredici se i coniugi non sono d'accordo e finiscono davanti a un tribunale. «Ma c'è un'alternativa al nostro pachidermico iter processuale - dice Gian Ettore Gassani, presidente nazionale dell'Associazione avvocati matrimonialisti italiani - , rivolgersi alle giurisdizioni straniere: quella ecclesiastica per la dichiarazione di nullità del matrimonio o quelle della maggior parte degli Stati membri dell'Ue per il divorzio lampo». In Europa soltanto in Italia, Polonia, Malta ed Irlanda del Nord esiste ancora la fase della separazione. Le insopportabili attese dei nostri compatrioti per ottenere lo stato libero in Italia stanno alimentando l'escamotage di chiedere giustizia in Francia, Inghilterra, Spagna, Romania ed ottenere un divorzio immediato (in media circa 6 mesi) e con spese legali ridotte all'osso. La scorciatoia per porre fine ad un matrimonio sbagliato è data dal regolamento del Consiglio Europeo che disciplina il diritto commerciale ma anche quello privato europeo: esso lascia dedurre la possibilità di pronunciare una sentenza di divorzio da parte di un qualunque tribunale dell'Unione a patto che i coniugi siano stabilmente residenti in quel Paese: la prassi richiede almeno da 6 mesi ma non c'è una norma transitoria che lo specifichi in modo più chiaro.
L'iter è questo: si prende in affitto un appartamento all'estero, ci si fa intestare il contratto di affitto incluse le bollette ed infine si chiede la residenza. Sei mesi dopo si fa istanza di divorzio e in pochi mesi si torna in Italia con una copia conforme della sentenza di divorzio, che l'ufficiale di stato civile italiano dovrà semplicemente trascrivere. Tali documenti debbono essere solo apostillati, cioè tradotti in italiano con dichiarazione dell'interprete sulla fedeltà del testo all'originale. Questi divorzi non entrano nel calderone del censimento Istat la cui scheda dev'essere compilata soltanto presso i Tribunali italiani all'interno dei quali si celebrano le separazioni ed i divorzi.
I numeri cominciano ad esere notevoli «Stime di settore - spiega l'avvocato Gassani - calcolano che, negli ultimi 5 anni almeno ottomila coppie italiane hanno divorziato all'estero. E' assolutamente evidente che molti di casi spesso sono frutto di vere e proprie frodi processuali, visto che non sempre i certificati di residenza rispondono a verità. Però c'è un dato incontrovertibile: il nostro diritto di famiglia, ancorato a vecchi schemi e caratterizzato da lungaggini burocratiche insopportabili non è più tollerato dagli italiani. Fin quando la giustizia italiana non sarà in grado di accelerare i tempi, dobbiamo mettere in preventivo nei prossimi anni un vero e proprio esodo di massa.

Uno schiaffo ad un Paese come il nostro da sempre invidiato dal punto di vista giuridico ma da sempre condannato dalla Corte Europea per l'insopportabile attesa che i cittadini italiani devono subire prima di ottenere una sentenza».

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