Cultura e Spettacoli

A Vanna Marchi la tv non ha giovato

Grazie a Un giorno in pretura (sabato su Raitre, ore 23,40), abbiamo da anni la possibilità di renderci conto di cosa succede nelle nostre aule di giustizia, fin da quando il processo di Tangentopoli ripreso impietosamente dalle telecamere fece luce sullo spaccato umano e sociale di un'epoca, non senza polemiche sull'invasività del mezzo televisivo nei tribunali. Sabato scorso si è chiuso un altro ciclo di puntate interessanti, relativo al processo nei confronti di Vanna Marchi e della figlia Stefania, le cui vicende truffaldine furono denunciate da Striscia la Notizia dando luogo a un autentico cortocircuito mediatico: diventate famose grazie alla televisione, Vanna Marchi e la figlia hanno vissuto un contrappasso catodico, dapprima smascherate da una trasmissione televisiva in grado di smuovere l'autorità giudiziaria (che a volte sembra attivarsi più o meno celermente a seconda dell'audience dei programmi che denunciano i misfatti italiani) e poi sottoposte a un processo finito ancora una volta in televisione con un ulteriore effetto boomerang ai loro danni. A volte i processi trasmessi in tivù aiutano gli imputati, che appaiono fragili e impauriti di fronte all'assalto di pm e avvocati galvanizzati dalla presenza delle telecamere. Non di rado questa difficoltà strappa la comprensione del telespettatore, attira le simpatie riservate agli sconfitti. La bava alla bocca dell'ex ministro democristiano Forlani rappresentò ad esempio l'emblema di una evidente sofferenza su cui la televisione indugiò a lungo e senza sconti. Nel caso della famiglia Marchi è invece difficile pensare che un moto di comprensione abbia potuto levarsi in loro favore. Troppo dolorose le testimonianze dei raggirati, che sono sfilati uno alla volta nel corso delle settimane con il loro carico di racconti disperati. Prima che la tivù ci mostrasse queste testimonianze era più facile inquadrare l'intera faccenda come un classico esempio di ingenuità popolare che cade nella rete ingannatrice in modo sciocco, figlia dell'ignoranza e di stupide illusioni. A processo visto, questa rappresentazione non priva di una sua verità lascia però spazio a una realtà che è emersa con chiarezza: sono state senz'altro ingenue, le vittime di Vanna Marchi, ma tra loro c'erano anche molte persone istruite, famiglie non certo sprovvedute, trovatesi però a fare i conti con un macigno emotivo difficile da sostenere indipendentemente dalle scuole frequentate e dall'ambiente sociale di appartenenza: quando ti senti dire che se non paghi capiterà qualcosa di brutto ai tuoi cari non è evidentemente facile rimanere freddi e razionali.

Vanna Marchi e la figlia volevano la presenza delle telecamere al loro processo, ma a dibattimento visto non se ne riesce davvero a capire il motivo.

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