Cronache

Un vecchio pellegrino immortalato tre volte dall’arte di Gentileschi

Con il pittore anche il modello, Pietro Molli, è passato alla storia a causa di un processo

Irene Liconte

Apre oggi a Palazzo Spinola, fino al 18 settembre, la mostra «Orazio Gentileschi e Pietro Molli», con l'esposizione di tre dipinti del Gentileschi: due versioni di «S. Gerolamo» e il «Sacrificio di Isacco». Una particolarità lega le tre opere: il pittore ricorse allo stesso modello per il viso del santo (nella versione della collezione Koelliker di Milano e in quella di Palazzo Madama a Torino) e per il volto di Abramo del «Sacrificio di Isacco» di Palazzo Spinola. Particolarità nella particolarità, si conosce anche l'identità del vecchio scelto per posare, un umile pellegrino di 73 anni, Pietro Molli, a fronte di tanti volti immortalati dagli artisti di ogni epoca e rimasti senza nome.
Pietro Molli è sfuggito all'anonimato a causa del processo intentato nel 1612 da Gentileschi contro Agostino Tassi, pittore romano che aveva abusato di sua figlia Artemisia e se ne discolpava accusando la ragazza di averlo sedotto. Molli, assiduo frequentatore delle due case romane dei Gentileschi, testimoniò l'onesta condotta di Artemisia; a Roma aveva posato per quaranta giorni per il cartone della sua testa usato per i tre dipinti. La credibilità di Pietro fu però minata da alcune incoerenze nella descrizione delle abitazioni di Orazio: il Tassi se la cavò con un breve esilio, presto revocato.
Completamento virtuale della mostra sono alcuni pannelli che riproducono stralci dei verbali del processo, custoditi nell'Archivio di stato di Roma. I documenti offrono un interessante spaccato della vita quotidiana dell'artista: attraverso essi si esplora la modesta casa di Orazio; si scopre la posizione della finestra accanto a cui posava Pietro e i relativi effetti di luce, cruciali nell'opera di un caravaggista come il Gentileschi; si rivive l'animazione della casa, frequentata da popolane che affidavano ad Orazio i propri bambini perché li immortalasse come angeli. Si rivive anche il lavoro indefesso del pittore, la stanchezza del modello: Gentileschi «si serviva di me per ritrarre una testa», dichiara Pietro Molli: la fatica della posa emerge chiaramente dalla postura di S. Gerolamo, con una mano appoggiata al teschio, classico attributo del santo, e l'altra pesantemente abbandonata su un basamento di pietra.
La testa di Molli fu un soggetto ideale per il seguace del Caravaggio: il cranio calvo e lucido diventa fulcro di irradiazione luminosa, la barba un capolavoro di chiaroscuri. Colpisce anche lo sguardo estatico e intenso di questo vecchio: esprime efficacemente la pacata meditazione del santo, la travagliata ma serena rassegnazione del patriarca biblico a sacrificare a Dio anche il proprio figlio. La venerabile vecchiaia di Abramo si bilancia perfettamente con la fanciullezza dell'angelo, che con delicatezza gli trattiene il braccio, e di Isacco, con la testa china offerta al sacrificio, mentre la figura poco visibile di un capro sotto il ragazzo allude al lieto scioglimento della vicenda. Il pittore non mancava però di senso pratico: il braccio di Abramo, giovane e muscoloso, contrasta con le rughe del collo, il volto appassito: Gentileschi si servì evidentemente di un modello giovane per il corpo di Abramo.
La testimonianza processuale di Pietro ci permette anche di datare i tre dipinti: le due versioni del S. Gerolamo sembrano ascrivibili al 1611-12, gli anni del processo, mentre più tarda pare l'esecuzione del «Sacrificio di Isacco», databile tra il 1621-24, nel periodo in cui probabilmente Orazio soggiornò a Genova.

La controversa questione della permanenza di Orazio Gentileschi nella nostra città sembra trovare conferme nel lungo e, per certi versi, travagliato rapporto con Giovan Antonio Sauli, specie per controversie economiche, committente di alcuni dipinti a tema mitologico, come «Danae e la pioggia d'oro» e «Maddalena in estasi».

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