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"Vendere le opere d'arte è un gioco di seduzione"

La presidente per l'Italia di Christie's: "Serve molta psicologia perché spesso vige la legge delle tre D: divorzio, debito, decesso"

"Vendere le opere d'arte è un gioco di seduzione"

È la signora Christie's. Nel senso che, della nota casa d'aste, Mariolina Bassetti è presidente per l'Italia e direttore internazionale nel dipartimento Post-War e Contemporary. Ha tre figli (di 26 anni il primo, e 22 la coppia di gemelli), vive a Roma. O meglio, «l'albero di Natale lo faccio lì, e cerco di rientrare i fine settimana, ma non sempre è possibile». Perché è in perenne viaggio, intenta a fiutare l'occasione (possibilmente) milionaria, a valutare, stimare, incontrare e promuovere l'arte contemporanea di casa nostra. Riesce a mandare a memoria decine e decine di dati numerici. Ricorda l'esito di ogni singolo lotto, l'anno e persino il giorno di vendita. Il suo è un ruolo chiave, soprattutto in una fase in cui il valore del mercato globale dell'arte è addirittura raddoppiato: pari a 47,4 miliardi di euro, e quasi la metà della quota di mercato fa capo alle case d'asta, con Christie's in vetta, seguita da Sotheby's.

Sempre più famiglie investono nel collezionismo di opere d'arte...

«L'arte è un'emozione, un oggetto fruibile, aiuta a evolversi in più fa guadagnare se si sceglie bene. Una sfida e insieme un piacere estetico».

Per le case d'asta è quindi un momento magico.

«Il 2015 è stato in assoluto l'anno record di vendite nei settori Impessionist and Modern Art e di Post War e Contemporary. Coincideva anche col fatto che era un anno con grandi offerte. In una settimana toccammo il picco di un miliardo e 400 milioni di dollari a New York. Fu un'esplosione».

Le quotazioni dell'arte contemporanea e moderna hanno superato i settori tradizionali. Lucio Fontana, per dire, vince su Rubens. Per i non addetti ai lavori, non è facile comprendere questa tendenza.

«Pensi che già l'Impressionismo e il Moderno sono ormai filoni esauriti. L'Ottocento è già considerato antico, e il Novecento è un presente che sta passando. I vecchi maestri non ancora emersi fino ad ora hanno stime basse, tuttavia se vengono individuati antichi di qualità allora fanno scintille».

Come si spiega il fenomeno dell'oggi che batte il passato?

«Amiamo circondarci di ciò che ci rappresenta, in cui ci riconosciamo: quindi l'attualità. L'antico non ci rappresenta più. Preferiamo osservarlo nei musei».

Che pezzi d'arte ha in casa?

«Colleziono ciò che non crea conflitto con la mia professione».

Come si arriva alla presidenza di Christie's partendo da una laurea in Lingua e letteratura francese?

«Volevo fare un regalo a papà come ringraziamento per avermi fatto studiare. Così andai a un'asta, cercavo un orologio. Avevo appena finito l'università, ero quindi nella tipica fase in cui si lasciano curricula ovunque. Pensai di lasciarne uno anche da Christie's. Mi chiamarono dopo un mese per un piccolo impiego, poi via via ho assunto diversi ruoli».

Amava l'arte, comunque...

«L'arte moderna mi ha sempre appassionato, all'epoca era uno sfogo nel tempo libero. Ma una volta in Christie's mi buttai a capofitto nello studio. E non studiavo solo arte, in questa professione entrano in gioco tante componenti, devi essere ferrato in materia fiscale, legale, amministrativa, psicologica e molto altro».

Psicologica?

«Bisogna saper star vicino a chi vende, devi capire chi hai davanti, conquistare la sua fiducia: è un gioco di seduzione. E poi non dimentichiamo che spesso la vendita equivale a un momento di sofferenza, vige la legge delle 3 D: divorzio, debito, decesso. Che in genere sono le cause per cui uno vende, salvo chi vende per speculazione».

È stata anche banditrice?

«No, banditrice, mai. È un modo essere che non mi appartiene».

Cosa le sta stretto?

«Il fatto che tutto sia concentrato sulla persona, io preferisco coordinare da dietro le quinte. Pensi che da piccola volevo fare il direttore d'orchestra. Dirigere ma senza guardare il pubblico, solo l'orchestra».

Che di fatto è sul podio...

«Però ad attrarmi è l'atto dell'orchestrazione, del creare una sinfonia con vari elementi».

Quali sono i diversi elementi, cosa si chiede al presidente di una casa d'aste?

«Prima cosa, deve saper valutare le opere, quindi metterle assieme con sapienza, presentandole nella maniera giusta. Va composto un catalogo in maniera razionale, tenendo conto delle richieste dei compratori, e del fatto che vengono da tutto il mondo. Ovviamente c'è un team che mi aiuta a creare l'intero mosaico».

L'asta del cuore?

«Eyes Wide Open. Frutto di otto anni di lavoro. Una coppia che fino al quel momento era stata acquirente, si ritrovò nel ruolo opposto, aveva deciso di vendere più di cento opere. La signora, un'amica, mi chiamò al telefono e mi chiese di andare a trovarla. Così iniziammo con valutazioni, negoziazioni, ci fu un momento di stasi in coincidenza con l'arresto del mercato, poi la ripresa. La collezionista scrisse un testo per ogni lotto per spiegare cosa rappresentasse per lei».

Un valore che commercialmente a quanto equivaleva?

«38 milioni di sterline. Si era partiti da 22 milioni. Vennero totalizzati quindici record in una sola asta».

Come vive il momento dell'asta?

«Con la consapevolezza che devo avere il controllo della sala intera. Per esempio bisogna capire qual è il lotto che ha difficoltà in quel momento, dunque lavoro affinché l'asta abbia il risultato auspicato. Quello del martello che batte colpo finale è solo uno dei momenti».

Ci racconti di un'altra asta di cui va particolarmente orgogliosa.

«L'Italian Sale in generale, l'asta che ha luogo a Londra ogni ottobre ed ha come protagonista l'arte italiana del dopoguerra. Partì nel 2001 con 4 milioni di sterline ed è ora arrivata a 43 milioni. Questo testimonia il grande successo dell'arte italiana nel mondo».

Qual è lo stato di salute dell'arte italiana? Quanto vende?

«È in piena fase di espansione».

Quando è iniziato questo processo?

«Negli ultimi dieci-quindici anni».

E prima?

«La bandiera dell'arte italiana è sempre stata l'arte storicizzata, in questi anni ci siamo dati da fare affinché si comprendesse che in realtà tante avanguardie sono partite da noi, anche nella seconda parte del secolo. All'ultimo Italian Sale i compratori venivano da 42 Paesi diversi, e questo dimostra che il messaggio sta passando».

Offriamo comunque un ottimo rapporto qualità. A conti fatti, siamo piuttosto economici rispetto ad altre nazioni.

«Nonostante sia cresciuta, l'arte italiana è ancora abbastanza economica. Però è in crescita. Eyes Wide Open nel febbraio 2014 raggiunse quasi 40milioni di sterline. Per l'occasione avevamo organizzato sei esposizioni con conferenze sull'arte italiana a New York, Dallas e Londra. Prima l'arte italiana era secondaria, oggi compare nei cataloghi importanti. Possiamo competere con l'arte dell'intero globo».

Se dovessimo fare qualche nome?

«Fine di Dio di Lucio Fontana è stata venduta a 30 milioni di dollari. Fontana, Alberto Burri e Piero Manzoni sono sempre state figure di rilievo, maestri ormai storicizzati, ora però emergono anche altri nomi».

Tra cui?

«Pino Pascali, la prima volta che Christie's lo presentò a Londra nell'Italian Sale del 2001, una sua opera totalizzò 1 milione e 450mila sterline, record all'epoca per un artista italiano».

Altri artisti italiani che stanno funzionando molto bene?

«Tano Festa, Giosetta Fioroni, Carol Rama e altri ancora. Prendiamo, ad esempio, Alighiero Boetti: la sua opera Rosso Gilera e Rosso Guzzi venne stimata 280.000350.000 sterline, l'anno successivo, nel 2010, si oltrepassò il milione. Nel frattempo erano state organizzate tre mostre a Londra e queste aiutarono il mercato a salire, con l'asta si raggiunse il culmine. Questa esperienza dimostra che la sinergia tra istituzioni e mercato è fondamentale».

Collezionisti e galleristi aiutano l'artista a farsi conoscere. Cosa fa una casa d'aste?

«Gallerie, mercanti, collezionisti e aste giocano ruoli complementari. I primi tre lavorano in maniera più silente, fanno il lavoro di lancio. L'asta registra il successo e consacra definitivamente l'artista».

L'ultima asta di Milano ha reso oltre 13 milioni di euro, venduto il 94% dei lotti ovvero il 96% del valore totale. È questa la media?

«È la percentuale auspicabile. I risultati di vendita degli ultimi cinque anni sono sempre stati superiori al 90%».

Lavora in Christie's da 30 anni. Cosa è cambiato, in questi decenni, nel vostro ambiente?

«Il fatto che le aste non siano solo mercato, ma anche curatoriali. Hanno un tema e non solo un periodo. La curatioralità si sta evolvendo molto».

Si parte dai cataloghi

«...Ormai libri d'arte. I compratori vogliono sapere tutto».

E soprattutto se si avventurano in questa galassia per la prima volta. Penso ai magnati e imprenditori d'Oriente.

«Vero. Il cinese se vede un bel catalogo intuisce che quell'opera è molto importante ed è invogliato ad interessarsi. Anche perché è molto curioso, colto, compra solo dopo aver raccolto tutte le informazioni. Abbiamo avuto compratori di opere milionarie che non parlavano una parola di inglese, venivano con il proprio interprete, facevano le dovute indagini quindi acquistavano. Hanno un forte potere economico e lo vogliono dimostrare».

Come l'ex tassista che comprò un Modigliani a 170 milioni di dollari...

«Sì, il famoso Nu Couché. L'acquirente era appunto un ex tassista cinese diventato milionario con investimenti azionari. Ora è un grande collezionista di arte, possiede due musei».

Anche la contemporanea piace ai paperoni di Cina?

«Da anni stiamo lavorando per potenziare l'estremo Oriente. In generale l'Europa è un pozzo dove la Cina attinge a piene mani. Cosa interessante da un lato ma è anche un peccato che tanti tesori vadano così lontano».

E voi?

«Ovviamente non manchiamo di corteggiarli e di rispondere alla loro richiesta di essere educati sul tema. In Cina organizziamo sempre più mostre, esposizioni importanti. Se voi badate, al banco dei compratori sono soprattutto asiatici».

Gli Stati Uniti dominano ancora il mercato globale, il 42% dei milionari si concentra lì. State aprendo una sede anche a Los Angeles, mentre ne avete chiusa una a Londra. Cosa vuol dire?

«Christie's segue i compratori. E lì sono in crescita. Nella sede londinese che abbiamo chiuso si offrivano oggetti che possono passare anche attraverso il mercato online, appartenevano al genere del collezionismo di nicchia, c'erano anche aste di giocattoli per dire».

Ora che il portfolio compratori si è così diversificato, come verificate l'affidabilità del potenziale acquirente?

«Abbiamo potenziato il sistema di registrazione del cliente che partecipa per la prima volta o comunque affronta valori importanti. Richiediamo lettere di referenze bancarie e altre garanzie».

Oggi i compratori italiani come sono messi?

«L'italiano è meno forte, si espone meno facilmente. Inizialmente alle Italian sales il 40% degli acquirenti erano italiani, oggi partecipano ma non riescono a comprare, sono più venditori che compratori».

Da vent'anni, Christie's è francese: finita nell'orbita della magnate Francois Pinault.

«Siamo di proprietà francese, ma la mentalità è ancora anglosassone».

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