Verso le primarie in un’atmosfera da fratelli-coltelli

Pietro Mancini

«Competition is competition»: Romano Prodi, brandendo l’arma della «questione morale» contro i tanti avversari nell’Unione, rispolvera il suo vecchio motto. E rende, quasi drammaticamente, attuale la previsione di Giampaolo Pansa. Che aveva, per tempo, lanciato l’allarme sul rischio che le primarie potessero degenerare in un bagno di sangue per il centrosinistra. Con due armate, in guerra l’una contro l’altra, i cui esponenti, oltre a disistimarsi, sembrano avviati, a colpi di veleni e di dossier, colmi di disprezzo reciproco, verso un clima di odio suicida tra fratelli-coltelli.
Accusando il neo-presidente della Rai, Claudio Petruccioli, e altri dirigenti ds e rutelliani di aver disertato la trincea dell’interminabile battaglia all’infame «regime» berlusconiano, Prodi e Parisi fanno proprie le distinzioni tra puri e impuri della «resistenza» al Cavaliere, care da sempre agli indignati Moretti, Sylos Labini, e Flores d’Arcais. Ed ergendosi ad improbabili giudici dei compagni «collaborazionisti», essi annullano le distinzioni, che dovrebbero essere fisiologiche in un Paese normale, tra il civile confronto politico su tesi, diverse ma non antitetiche, e la rissa, permanente e confusa, con all’orizzonte incombente l’ombra del ritorno al giustizialismo e al ruolo di supplenza della magistratura.
In questo contesto, dovrebbero essere D’Alema e Fassino, i capi del più forte partito della coalizione ulivista, non solo a rispondere, politicamente, all’attacco dell’ex presidente demitiano di quel carrozzone, clientelare e partitocratico, nel senso peggiore del termine, che è stato il vecchio e chiacchieratissimo Iri, diretto per nove anni dal Professore. Ma, soprattutto, i leader della Quercia dovrebbero dimostrare capacità di ascolto e di guida di una coalizione, squassata dalle polemiche e indebolita dalle evidenti debolezze della leadership. Orientando il timone del centrosinistra nella direzione di una moderna e blairiana forza moderata e tranquilla, in grado di presentare le proprie proposte sui problemi concreti del Paese, senza demonizzare o qualificare come «immorali» quelle dei competitors. È certo legittima la reazione di Piero Fassino, che ha intimato ai prodiani maggiore rispetto nei confronti della Quercia, avvertendo i seguaci del Professore che «l’osso diessino» non si farà spolpare tanto facilmente. Ma, anche sulla «questione morale, il segretario del Botteghino - che, come gli ha ricordato polemicamente ieri Pietro Folena, nella intervista al Giornale, nel suo libro «Per passione», bocciò il «moralismo» di Enrico Berlinguer - deve essere molto più chiaro con Prodi e con gli altri cespugli dell’Ulivo. Esplicitando, senza possibilità di ulteriori equivoci e fraintendimenti, la definitiva messa al bando, da parte dei diesse, di quello che Massimo Teodori ha definito «il calcolo giustizialista». Nell’attuale opposizione, che aspira a tornare l’anno prossimo al governo, almeno coloro che, come Fassino, si proclamano gli eredi delle tradizioni socialiste, devono affermare che il centrosinistra ha, definitivamente, archiviato le manovre e le strizzate d’occhio a quanti non intendono cessare di perseguire, attraverso la pratica giustizialista, poco commendevoli scopi politici.

E, finalmente, Luciano Violante, dopo aver bacchettato Caselli per le critiche ai politici sulla riforma delle intercettazioni telefoniche, dovrebbe avere il coraggio di ammettere che sinora sono state, in primis, le nocive scorie giustizialiste a impedire il profondo, indispensabile rinnovamento della sinistra italiana.

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