Cultura e Spettacoli

Viaggi letterari? Non basta la Patagonia

Scrivere di mete lontane è diventato un comodo clichè per autori che hanno poco da raccontare Il risultato: libri che sembrano guide turistiche. L’antropologo Riva: "È l’inganno dell’esotismo"

Viaggi letterari? Non basta la Patagonia

Che ne è del viaggio e della sua letteratura? Ogni buon libro è, a suo modo, un viaggio. Ci sono però dei libri votati esclusivamente al viaggio, che l’hanno per oggetto, che lo animano nella forma del reportage, del diario o del viaggio fantastico. Le città invisibili di Calvino, se vogliamo, sono (anche) il reportage del viaggio fantastico nello sterminato impero di Kublai Khan che Marco Polo invia all’imperatore. C’è poi una letteratura ispirata dai viaggi reali che i suoi autori hanno compiuto. In Patagonia di Bruce Chatwin, uscito nel 1977, è presto divenuto, e ancora oggi è considerato, l’apoteosi del libro di viaggio, capace di accendere il desiderio - che è uno dei primi motori di chi si mette in marcia - o di far viaggiare a occhi chiusi, capace soprattutto di costruire un immaginario fatto di poche semplici cose: uno zaino, un paio di scarponcini, un block notes su cui annotare con altrettanta precisione coordinate cartesiane ed emozioni del cuore. Ma è proprio qui che si è annidato l’inganno. Quando l’immaginario è divenuto una moda, e il bisogno di andare un atteggiamento, un cliché un po’ radical e molto chic, quasi un modo di vestire corredato da un’agenda così esclusiva che ce l’avevano tutti. Allora anche il viaggio si è addomesticato: non più ricerca ed esperienza autentica, individuale, di confronto con l’altrove, bensì autoaffermazione, semplice spostamento nello spazio incapace di privazioni e anzi, se possibile, in cerca degli stessi comfort, degli stessi simboli, degli stessi gusti, degli stessi suoni, del luogo di partenza. Spesso in branco. Spesso brancolanti più che viaggianti.

Ecco che cosa ha finito per rappresentare certa recente «letteratura di viaggio». Solo una diversa esperienza di massa. Non la massa delle crociere ma la massa dei trekking patagonici organizzati. Fatte le pulci al viaggiatore che teme i luoghi pulciosi ma ne fa letteraria apologia, torniamo alla questione fondamentale: che ne è della letteratura di viaggio, considerato che essa si nutre dell’altrove quando l’altrove batte in ritirata sotto l’assedio del villaggio globale? Ne è che non sta molto bene. Ma il malessere della letteratura di viaggio non dipende solo dalla crisi dell’altrove, bensì da una sua crisi di identità. Essa fallisce nel momento in cui rappresenta quei cliché, quando scimmiotta i maestri facendo epigonismo senza essere fondativa, quando trasforma un ritornello in cantilena, senza lasciare nel lettore la sensazione di un arricchimento. Per non dire della recente demenziale attitudine a considerare letteratura di viaggio titoli che suonano come «decalogo del viaggiatore responsabile», titoli che bisognerebbe ascrivere al genere «educazione civica» e che non rendono partecipi di un’esperienza formativa.

Insomma, le code estive ai caselli delle autostrade e ai check in degli aeroporti, i libri di Chatwin e di Kapucinski nello zaino o in bella mostra nelle vetrine delle librerie non sono affatto una dimostrazione che questa letteratura gode di buona salute. Se viaggiare significasse soltanto muoversi nello spazio e se bastassero le buone vendite di certi libri o delle guide Lonely Planet, si potrebbe argomentare fiduciosi che la letteratura di viaggio è in gran forma. Ma sarebbe un’illusione.

Secondo Franco Riva, «nella misura in cui la letteratura di viaggio si accontenta di riproporre, con qualche inevitabile aggiornamento, i modelli narrativi dell’avventura, della conquista, dell’esplorazione, dell’esotico, della curiosità, della semplice dislocazione di storie, non può non andare in crisi. La crisi della letteratura di viaggio può coincidere paradossalmente con il suo stesso successo, nel momento in cui non racconta più l’incontro con l’altrove. La letteratura di viaggio è in crisi ogni volta che scambia l’altrove con una variazione dell’identico: anche se ne escono storie intriganti e complesse, abili nella loro costruzione, piacevoli, rimane sullo sfondo la convinzione - subito percepita dal lettore - che, tutto sommato, un altrove vero e proprio non ci sia. Non ci sia motivo per raccontare e per fare un viaggio».

«La letteratura di viaggio - puntualizza l’antropologo Marco Aime membro della giuria del Premio Chatwin - non è una pratica agonistica, che si misura con il metro del valore dell’impresa compiuta dallo scrittore. Gianni Celati ha scritto pagine splendide, raccontando il viaggio di due anziani in Mali, molto più illuminanti di sedicenti avventurieri. La letteratura di viaggio non dipende dai viaggi, ma da chi ne scrive. Il viaggio - continua Aime - è comunque un’esperienza che acuisce i sensi per il solo fatto che ci fa uscire dalla routine quotidiana».

La verità è che «l’esperienza del viaggio - conclude Riva - non è faccenda di distanza o di esotismo. Il viaggiare non è tanto più autentico quanto più lontana e strana è la sua meta. Nella confusione tra viaggio e distanza si nasconde una delle sue più insidiose contraddizioni: a maggior ragione nell’epoca del viaggio globale, dove nessun luogo è per davvero così distante. Nessuna meraviglia circa l’utilizzo crescente di strumenti tesi a semplificare, a ridurre, ad eliminare, la fatica del viaggio. Tra i viaggi virtuali di internet, i navigatori satellitari per le auto e i GPS si dà una forte continuità e una stretta coerenza. In discussione non sono tanto la loro utilità, o le loro potenzialità, anche in termini di aiuto. Pensiamo però a cosa significa percorrere perfino un semplice sentiero di montagna, del tutto privo di rischi, con l’aiuto di uno strumento che vede per noi, ci orienta, ci colloca spazialmente, e ci dice dove posare lo sguardo per osservare questa o quella cosa notevole. Si tratta a lungo andare di una vera e propria sostituzione di personalità (mente e corpo), che deprime le esperienze fondamentali del corpo e del viaggio, il dimorare dell’uomo sulla terra come un ripararsi ed un uscire contestuali, e senza cui non c’è vita umana. Il viaggio diventa un viaggio già viaggiato. Il corpo una semplice apparenza estetica.

La vita una vita già vissuta».

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