Roma

La villa con vista sugli Acquedotti

La casa si innalzava su tre piani e si estendeva praticamente per tutta l’area del parco. Secondo gli esperti è tra le più grandi della Roma imperiale

La villa con vista sugli Acquedotti

Non sarebbe improprio definirla una sorta di «Pompei del Tuscolano» per la bellezza e unicità dei tesori che custodisce. Tornano, infatti, alla luce una villa-città rimasta sepolta per mille e cinquecento anni, sotto la campagna romana del Parco degli Acquedotti, e un intricato labirinto di sotterranei che si dirama fin sotto la chiesa di San Policarpo, ricolmo di tesori dell’arte e della storia.
Alla Villa delle Vignacce, tra via Lemonia e l’acquedotto Claudio, la Sovrintendenza comunale di Roma e l’American Institute for Roman Culture (Airc), conducono una delle più importanti scoperte archeologiche del suburbio romano degli ultimi anni.
Quella cioè che ha portato sotto gli occhi di tutti una domus imperiale della levatura della villa dei Settebassi e dei Quintili, ma, a differenza di quelle, ancora in gran parte inesplorata.
«La villa era di Servilio Pudente, una sorta di Caltagirone della Roma imperiale», spiega Alessio De Cristofaro, archeologo dell’Airc. «Era un ricco proprietario di fabbriche di mattoni e uno degli uomini pubblici più in vista del II secolo dopo Cristo. La sua era una delle residenze di campagna più prestigiose. La domus si innalzava per tre, forse quattro piani, e si estendeva praticamente per tutta l’area del Parco degli Acquedotti. Davvero sotto questo angolo di campagna romana ci potrebbe essere una piccola Pompei da portare alla luce».
Gli scavi, infatti, hanno interessato finora soltanto il 20 per cento circa della villa-città: parte delle terme e dei sotterranei. Straordinario lo stato di conservazione di alcuni ambienti. «È dal sesto secolo dopo Cristo, dall’epoca della guerra greco gotica, che nessuno ha messo più piede qui dentro», spiega l’archeologa Dora Cirone, una delle direttrici dei lavori. Questo ha favorito un eccezionale stato di conservazione della villa, tra le più grandi e ricche della Roma Imperiale. Pressoché integri sono i pavimenti in mosaico bianco e nero e, lucente come ai tempi della Roma imperiale, splende una volta, rivestita da un mosaico in pasta di vetro con decorazione di palme in giallo verde.
Rimasta quasi intatta, curiosamente, è la latrina «collettiva» delle terme, che vanta una caratteristica che la rende unica. «Il pavimento - fa notare Dora Cirone - è stato tutto ricavato da cocci di anfore, perfettamente allineate, una tecnica davvero notevole ed insolita». Al disotto della latrina e delle terme, si snoda un intrico di sotterranei, tunnel di servizio per gli schiavi che lavoravano agli impianti di riscaldamento dell’acqua.
«Questi locali - spiega la dottoressa Cirone - furono in un secondo tempo utilizzati come depositi e vi abbiamo trovato capitelli, e numerosi frammenti marmorei anche di pregio. Abbiamo esplorato pochi locali ma davvero questi tunnel potrebbero rivelarsi una miniera di reperti. Sempre che ci diano i fondi per continuare».
La campagna di scavo, iniziata un anno fa, è finanziata, con 75mila euro, dall’American Express. Partecipano 25 studenti di archeologia delle più prestigiose università del mondo.

«È un’esperienza fondamentale per la nostra crescita», sottolinea Katia Schorle, dell’università di Oxford.

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