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Vincere a 60anni, un sogno svanito

Vincere l’Open Championship a 60 anni? Impensabile sino a domenica scorsa a Turnberry quando Tom Watson ha avuto un putt di due metri e mezzo per stravolgere la storia del torneo più prestigioso e l’universo golfistico tutto. Per 71 buche, buca dopo buca, ci abbiamo creduto tutti in tutto il mondo. Un secondo colpo che è schizzato ingiustamente via oltre il green, un recovery con troppa adrenalina che passa la buca di quei due metri e mezzo, e il sogno è svanito, il silenzio è caduto nell’anfiteatro dell’ultima buca dell’Ailsa Course, un silenzio irreale, rotto subito dopo da un applauso scrosciante e da una standing ovation da pelle d’oca. Il playoff con Stewart Cinq non ha avuto storia, Tom Watson, il semidio che era riuscito a fermare il tempo, che per quattro giorni aveva calpestato i fairways di Turnberry con il passo di un ragazzino e lo swing elastico e perfetto di un giovane leone all’improvviso si è trasformato in un vecchio signore dal passo lento, la schiena curva, con il viso segnato da pieghe amare sotto il peso insopportabile di una delusione profonda. Ad accompagnarlo in quelle quattro buche supplementari milioni di telespettatori in tutto il mondo, anch’essi mesti, «ammosciati», forse anche con lo stesso groppo in gola che aveva il grande Tom.
Onore a Cinq, ci mancherebbe altro, giocatore di levatura mondiale, vincitore di un World Championship e di altri 11 tornei, ma chi - tranne i familiari ed amici di Cinq - non ha tifato per Watson, alzi la mano!
Questo 138° Open Championship resterà negli annali come l’Open di Watson, del campione che di majors ne ha vinti 8 (5 Open, 2 Masters ed un Us Open) più altri 57 tornei in America ed in giro per il mondo. Watson, che proprio a Turnberry nel 1977 dette vita a quello che è stato definito il «duello al sole» tra lui e Nicklaus dove solo all’ultimo green con un putt, allora imbucato, Watson riuscì a battere il campione dei campioni dopo 36 buche giocate insieme sul filo di lama e colpo su colpo. Un Open, questo quarto giocato nello splendido scenario di Turnberry, fantastico come sempre, ma diverso, se vogliamo anomalo. Non solo per quanto Watson stava per realizzare, ma perché tutti quelli che erano dati come protagonisti sono passati al ruolo di comprimari, nella migliore delle ipotesi, se non addirittura in quello di comparse.
Tiger, favorito d’obbligo, è apparso l’ombra di se stesso e per la prima volta non ha passato il taglio e con lui Adam Scott, Montgomery, David Duval, Jan Poulter ed Ogilvy, per citarne alcuni. Gli altri «annunciati», tranne Lee Westwood che è giunto 3°, sono mancati all’appello. Hurrington, campione uscente e vincitore l’anno scorso anche del Pga, è giunto solo 65°; Garcia 38°, Furyk, ottimo per tre giri, ha mollato sulle ultime 18 buche giungendo 34°, Els solo 8°, Retief Goosen degno di vincere si è perso nel finale, chiudendo al 5° posto con Luke Donald.
Un Open irripetibile per le emozioni che ha procurato, un Open «sentimentale» nel vento e tra le dune di Turnberry, un Open come è da sempre..

. «The Open»

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