Controcultura

"È una vita che seguo le Orme del progressive Perché ci rende liberi"

Parla Michi Dei Rossi, batterista della storica band. In tour per i club d'Italia, poi a maggio in Giappone

"È una vita che seguo le Orme del progressive Perché ci rende liberi"

«Le prime tracce di rock progressivo, inteso come fusione di musica rock e classica si trovano in Sgt Pepper's dei Beatles. Poi c'è stato uno splendido brano come A Wither Shade of Pale dei Procol Harum e infine il progressive è esploso con i King Crimson». Parola di Michi Dei Rossi, 69 anni, gran parte dei quali passati dietro la batteria (e non solo) alla guida delle Orme. Le Orme sono il monumento del rock progressivo, e con Collage (quello che contiene le aggressive improvvisazioni di Cemento armato e le melodie elettroacustiche di Sguardo verso il cielo) hanno messo sul mercato il primo disco italiano del genere. «Sì, è vero - dice Dei Rossi - venivamo dalle canzoni beat, ma per noi i tre canonici minuti di un brano erano stretti. Quando suonavamo in sala d'incisione o in concerto improvvisavamo sempre. Siamo stati fortunati perché anche gli altri gruppi - intendo la Pfm e il Banco - erano pronti a uscire. Il maestro Reverberi credette nel nostro progetto, e altrettanto importante fu l'intervento di Roberto Galanti, direttore artistico della Parlophone, che sposò le nostre idee». E come vi vennero quelle idee? «Dopo il servizio militare cominciai ad ascoltare i Nice di Keith Emerson che rileggevano brani classici. Nel 1970 prendemmo un furgone e partimmo per il Festival dell'isola di Wight... C'erano Emerson Lake e Palmer che eseguivano Pictures at an Exhibition di Musorgskji. Riuscimmo anche ad ascoltare una delle ultime esibizioni di Jimi Hendrix, ma a quel festival ci rendemmo conto che eravamo nel mezzo di un passaggio epocale: la chitarra come strumento leader era stata superata dalle tastiere elettroniche. Quando tornammo a casa sapevamo esattamente quale strada prendere. Infatti in Collage è inserita una parte di una Sonatina di Scarlatti, mentre in Cemento armato c'è improvvisazione totale».

Oggi, 24 dischi dopo, Le Orme sono ancora in pista e lasciano ancora il segno. Hanno da poco finito la tournée negli Usa e nell'America Latina (passando per il Canada) ed è appena partito il loro giro di concerti nei club («come si faceva una volta», ridacchia Dei Rossi), con il supporto del violino dell'ex King Crimson David Cross. «Poi l'8 e il 9 maggio saremo a Tokyo per due concerti con due scalette differenti. A giugno parte il tour estivo e il 3 novembre saremo al Megaprog, il grande festival che si celebra ogni anno in Messico. Con noi ci sarà anche una giovane band italiana di cui si dice un gran bene: gli Unreal City». Dei Rossi non lo dice troppo forte, ma il progetto per il 25º disco è più che avviato. «Faremo un nuovo album, ma il progressive, che vuole dire essere liberi, dà il meglio soprattutto dal vivo. Come il jazz; non riesco ad ascoltarlo su disco, solo in concerto lo apprezzo appieno. Io, che sono il progressive, ho scoperto che questa musica ha reso liberi tanti musicisti negli anni Settanta. Quando entravamo in studio non c'era nessuno con noi, nemmeno il direttore artistico. Consegnavamo il master già pronto suonando tutto dal vivo in studio. Naturalmente poi con qualche piccolo ritocco». La scena musicale è molto cambiata, ma Le Orme hanno saputo passarci in mezzo in modo trasversale. «Pensate che negli anni Settanta Gioco di bimba volò nei primi posti della hit parade e, quando la eseguivamo in concerto, i fan ci fischiavano perché la ritenevano troppo commerciale. Oggi se non la suoniamo non usciamo vivi dal palco».

Evviva la libertà del progressive, dunque, almeno per Le Orme, che hanno inciso anche il celebre Rondò à la Turk: «Quello che Dave Brubeck ha scritto ispirandosi a Mozart e che noi eseguiamo come bis con in mezzo L'inno di Mameli nei nostri bis». Insomma, libertà creativa o caos? «Musica virtuosa e virtuosistica perché basata sui suoni classici. E poi è bello trasformare gli stili e le canzoni. Ultimamente ho inciso alcuni miei brani per quintetto d'archi, soprano e tenore; è musica da camera moderna e due brani nuovi li ho registrati su 45 giri». Lui, Dei Rossi, è un fanatico di musica classica. «È la musica più alta, e ho imparato ad ascoltarla da ragazzo, a Venezia, quando andavo alla Fenice con la mia futura moglie, che era una fanatica melomane». Poi, l'anno scorso, è uscito anche l'album Classic Orme. «Verdi e Puccini sono i miei preferiti. Stravinskij e Bartòk li amo per l'uso rivoluzionario delle percussioni, e poi le voci di Maria Callas e Mario Del Monaco». Con il beat di Senti l'estate che torna negli anni Sessanta hanno lasciato la strada più semplice per buttarsi in una nuova avventura e hanno avuto ragione, con qualche piccola, veniale deviazione. Come le due partecipazioni a Sanremo negli anni Ottanta. «Allora andavano di moda i Duran Duran e se non facevi come loro eri tagliato fuori.

Venerdì era un brano elettronico, è vero, ma suonato da noi, senza campionamenti né marchingegni».

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