Cronache

Vivere nei mostri di cemento crea stress e malattia sociale

Dovevano favorire il piacere di stare insieme, invece gli inquilini soffrono di disturbi psichici e aggressività. La provocazione: perché i costruttori di Biscioni e Lavatrici non ci vanno ad abitare con le famiglie?

Vivere nei mostri di cemento crea stress e malattia sociale

(...) fonte di «relax» per i primitivi che ritornavano a casa «stremati» dalla ricerca del cibo e dalla lotta con gli animali feroci, gli uomini non si siano estinti (fino ad ora), ammazzandosi proprio tutti…
Non ne siete convinti? Io sì, e vi spiego perché: tutti voi certamente sapete che, in alcune condizioni, una intera popolazione può trovarsi «sotto stress». Questa forma di «sofferenza sociale» è particolarmente comune in situazioni particolari, come ad esempio le guerre, o i disastri naturali. e, da questo punto di vista, il secolo appena terminato (ma anche questo non scherza) è sicuramente stato uno dei più «stressanti» nella storia dell'umanità.
Oltre a due guerre mondiali, infatti vi sono state anche numerose guerre civili, genocidi e «pulizie etniche» che hanno prodotto nei sopravvissuti (e quindi in tutti noi) quella che noi specialisti chiamiamo «sindrome da stress post-traumatica», caratterizzata da ansia, depressione, disturbi psicosomatici (ad esempio gastrite, mal di testa, ecc.), ed alterazioni del comportamento sociale (ad esempio maggiore aggressività).
E fino qui sono sicura che tutti voi concorderete con me…
Non sono invece altrettanto convinta che la maggior parte di voi (e soprattutto alcuni architetti) sappiano che fra i fattori «culturali» e «sociali» che generano stress hanno una parte molto importante i cosiddetti: «Housing arrangements», ovvero il «tipo di abitazione»!
Ma scendiamo nei particolari: può infatti generare stress non solo il tipo di costruzione (che non prevede lo spazio «vitale» necessario fra un elemento abitativo ed un altro), ma anche la scelta del luogo (troppo rumoroso o malsano) ed infine anche la divisione interna degli spazi abitativi… I testi di psichiatria, ma anche di sociologia, e di antropologia definiscono parametri che sarebbe meglio non superare, onde evitare effetti negativi; si parte dal numero consigliato di occupanti una stanza, per proseguire con quelli di un appartamento, o di un condominio. P
er essere proprio chiari, «l'overcrowding», cioè il sovraffollamento è considerato come uno dei principali «fattori di rischio», e non solo psicologico… basti pensare al rischio, anche attuale, di epidemie. Visto: pare che ognuno di noi, se vuole mantenere una buona salute psicofisica, non possa (e non debba) rinunciare al proprio spazio «vitale»!
Inoltre, le forme di aggregazione sono ovviamente considerate sane e positive, ma solo se fatte «per libera scelta», sia che si riferiscano alla formazione di una famiglia, che alla partecipazione in una squadra di tipo sportivo, o in «circolo» sia sociale che religioso. In altre parole, essere costretti a vivere in troppo stretta vicinanza con altri individui, in palazzoni che «snaturano» gli spazi e ci «espropriano» del diritto di avere le «giuste» relazioni con i nostri prossimi ci rende sicuri candidati allo «stress», all'aggressività, quindi alla malattia, che non rimane più individuale, ma diventa sociale.
È così che si arriva ad incendiare le macchine, o ad uccidere per un posteggio… (la periferie di Parigi, ma anche di Roma, insegnano).
Eppure è opinione comune che noi, occidentali del ventunesimo secolo, siamo gente perfettamente equilibrata, e nemmeno il fatto che nella nostra società gran numero di persone soffra di forme più o meno gravi di malattie psichiche provoca il minimo dubbio al riguardo.
Come già fece, a suo tempo Erich Fromm, vi domando: possiamo essere certi di non ingannarci? E perché, allora, se siamo «gente equilibrata» non siamo più capaci di seguire le più semplici regole del buon senso, se non quelle, che come abbiamo visto sono dettate dalle Scienze cosiddette «Umane»? E se le guerre, come i disastri naturali, non sempre sono evitabili, o prevedibili, perché non agiamo, almeno, su quanto sicuramente potrebbe essere evitato, per tutelare la nostra salute?
Perché continuiamo a lasciare costruire dei «mostri» di cemento (o vetro, o acciaio), che generano a loro volta dei «mostri» (di argilla però), a livello psicologico.
Non dobbiamo farlo, e dobbiamo soprattutto insistere, a mio avviso, non tanto per ottenere la demolizione dell'esistente (per ovvi motivi), ma affinché, nelle Facoltà di Architettura, ed Ingegneria, vengano insegnate di più materie «umanistiche», come appunto la Psicologia, l'Antropologia e la Sociologia.
Dopo di che i futuri «progettisti (e costruttori) di mostri» non avranno più scuse da accampare, in nome del criterio del «risparmio» (poi smentito dagli esiti così negativi), o, non so se sia peggio, del «narcisismo personale».

E si, perché, oltretutto, alcuni di questi architetti che hanno «generato mostri» sono in realtà «fieri» (credetemi) per il fatto di avere lasciato sulla nostra (povera) terra una loro «impronta personale»… come se fossero grandi artisti!
E proprio per quanto riguarda i sopra menzionati progettisti ed i costruttori di «Biscioni» e «Lavatrici» (Genova), «Vermoni» (Roma) e similari, a me basterebbe che, in nome della tanto invocata «par condicio», fossero costretti ad andarci, loro stessi, ad abitare… con tutta la famiglia.
*Università di Genova

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