Politica

Il vizio d'origine

Ma vale davvero la pena provare a far sopravvivere il governo Prodi? Nel giro di poche ore le grida di esultanza dell'Unione si sono trasformate in nuove polemiche e in ulteriori equivoci. Lo sbarramento sindacale alla riforma previdenziale è caduto proprio alla vigilia del discorso del presidente del Consiglio al Senato e ha allungato un’ombra buia sul «nuovo inizio» del centrosinistra. Ha trovato come prevedibile una sponda nell'ala neo-comunista e ha colpito uno dei punti più importanti del «dodecalogo».
Nello stesso modo si è abbattuto sulle residue speranze di una navigazione più tranquilla l'annuncio del ministro Pollastrini che, tempo quindici giorni, i Dico inizieranno il loro iter parlamentare. Proprio quei Dico che non erano stati indicati fra le priorità dell'esecutivo, ufficialmente sottratti al contenzioso aperto nella rissosa maggioranza, una manovra che aveva indotto il senatore Andreotti a pensare di aver risolto un suo problema di coscienza.
Per non parlare poi dell'altro appuntamento a breve scadenza, il rifinanziamento della missione in Afghanistan, contro cui voteranno alcuni senatori che pure non se la sentono di negare la fiducia al rinato esecutivo. E si può essere certi che oggi si pareranno altri intoppi.
Nulla è cambiato rispetto alla scorsa settimana. La coalizione resta troppo larga, continua ad essere segnata non da semplici contraddizioni, ma da veri e propri ossimori. È nata come sinistra-centro e tale continua ad essere. Lo ha detto sia pur tardivamente perfino D'Alema. Non c'è bisogno di saper leggere nella palla di vetro per capire che sono fuori luogo sia l'ottimismo di Mastella che la convinzione di Follini di riuscire a cambiare l'asse dell'alleanza in virtù del suo semplice sostegno. È intatto il vizio di origine, quello che ha consumato in poco più di nove mesi la presunzione di durare cinque anni.
Si sta perdendo solo tempo. Perdono tempo coloro che si impegnano allo stremo per cercare la maggioranza necessaria a Palazzo Madama. Perde tempo chi spende argomenti per considerare l'apporto di questo o quel senatore a vita come una caratteristica dell'autosufficienza dell'Unione. Chi si dice convinto nelle virtù taumaturgiche del «dodecalogo». Chi grida alla svolta riformista. Chi scommette sulla rinascita di un'impresa politica, che si è esaurita subito, che ha perso la fiducia anche di una parte dei suoi sostenitori e che ora sta aprendo una falla nel rapporto tra le istituzioni e l'opinione pubblica. Un allarme che lo stesso presidente della Repubblica Napolitano ha lanciato più volte negli ultimi mesi.
La sopravvivenza di questo governo apre una situazione di emergenza non per uno schieramento, mostratosi incapace di stare insieme, ma per l'Italia intera che non merita di assistere alle contabilità parlamentari, al gioco dei veti, alla commedia degli equivoci.

Prodi ha sepolto l'idea di un Paese normale.

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