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Walter in fuga a New York Alitalia tramonta, lui scopre l’alba

Mentre il Pd fa i conti con il fallimento della trattativa, il leader beve cocktail in tournée per il suo romanzo

Walter in fuga a New York 
Alitalia tramonta, lui scopre l’alba

Volete ridere? Provate a telefonare alla sede del Pd. Scusi, mi passa il segretario di partito? «Mi spiace, è partito».
Ma come sarebbe? Ma che vuol dire è partito? È andato alla toilette? No, più lontano. È in riunione con Antonello Soro? No, più lontano. È tornato a Sabaudia, di metà settembre, in costume da bagno con 10 gradi centigradi e la tramontana che ti fa venire le ginocchia blu? No, più lontano ancora.
Ma dico: che aspettate? Chiamate i gendarmi, l’ufficio leader smarriti, chiamate «Chi l’ha Visto», sguinzagliate i cani, ma insomma trovatelo. Guarda un po’ se non ti fanno preoccupare, questi segretari di oggi. Ti distrai un attimo, e questi scappano di casa. E proprio mentre in patria combattiamo la guerra più importante dai tempi di Caporetto: sul tavolo non c’è la linea del Piave, ma gli aerei di linea. Fate voi: Alitalia precipita, crac alle porte, tumulti di hostess per le città, insomma siamo sul ciglio del burrone, l’anticamera dell’inferno, e Veltroni dove si è nascosto?
Per scoprirlo, apriamo i giornali: in prima pagina ci sono le cronache dal fronte aereo, ricatti, doppiogiochi e interessi di bottega. Poi, poco più giù, c’è la fotina di Walter che sembra appena uscito da un centro di bellezza: la pelle spianata, il completo buono, e un sorriso a sessantacinque denti che ricorda vagamente quello di Jimmy Carter. Sta bene, è ancora vivo: accanto lui non ci sono Epifani e Angeletti, ma Kathleen Kennedy e Ingrid Betancourt. I guai di casa nostra (che poi è anche casa sua) pare non lo sfiorino, anzi in mezzo ai quei vip sembra persino contento. E sapete perché? Perché se gli aerei italiani non decollano più, l’ultimo con la benzina nel serbatoio l'ha preso Veltroni per andare a New York a promuovere il suo libro. Non ci credete? Ecco la surreale cronaca del Corriere: «Il leader del Pd corre nella Grande Mela per prendere una boccata d'aria, lontano dall’asfissiante clima politico che da mesi lo perseguita». E ancora: «Nessuno si è stupito se Veltroni, sollecitato a commentare i fatti italiani, si è sempre rifiutato».
No, aspetta un attimo: noi ci stupiamo. Eccome se ci stupiamo. Ne abbiamo il diritto, se il principale esponente dell’opposizione, mentre Alitalia fallisce, mentre il Pd implode, si mette a fare l’ameriganzo che firma autografi nella libreria Barnes&Noble di Brodway, fra un cocktail e l’altro. Riaggiornata, ci ricorda tanto la fuga a Brindisi dei Savoia: il leader assediato che scappa dalle sue responsabilità. Con una differenza: i Savoia, da Brindisi, almeno continuavano a stringere i denti; Veltroni al massimo stringe la mano di Salman Rushdie, con la destra, e il suo libro, con la sinistra. Titolo: «La scoperta dell’alba», mentre da noi Alitalia tramonta.
Insomma, in un contesto di fuoco in cui anche l’ultimo dei rispettabilissimi scaricatori di bagagli di Fiumicino ha detto la sua a reti unificate, ci sarebbe piaciuto sentire la viva voce del capo del centrosinistra in tempo utile. Sai, poi non è che parliamo di abolire il barbiere del Senato (importante pure quello); no, qui parliamo del fallimento della compagnia di bandiera: almeno una parola, un cenno col capo, anche in inglese va bene, serenely and quietly, serenamente e pacatamente. Macché: c’è il libro da presentare, c’è l’intervista al New Yorker, ma che scherzi. Risultato? Il Partito democratico si deve accontentare di un leader autoesiliantesi, assente nello spirito e adesso anche nel corpo, la cui filosofia è riassumibile in un concetto: tu vò fa l’americano, ma sei nato in Italì. L’ultima iniziativa concreta - si fa per dire - risale a due settimane fa, quando spedì una letterina a Gianfranco Fini sul voto agli immigrati. Vallo a sapere, che si trattava d’una lettera d’addio.
E dire che già quest’estate Uòlter aveva latitato. Un’estate bollente in cui le varie correnti s’azzannavano, con D’Alema pronto a fargli le scarpe, mentre al pelo e contropelo ci pensò Parisi: «I primi 300 giorni di Veltroni hanno il segno meno, i primi 100 di Berlusconi il segno più». E Veltroni, che in algebra non è un genio, ha pensato bene di ripiegare sulla letteratura: ce lo immaginiamo a Manhattan, assiso in poltrona nel nuovo appartamento acquistato per la figlia Martina, mentre sfoglia le ottime recensioni del Publishers Weekly sulla sua ultima fatica, e magari fa un colpo di telefono ad Obama (ma proprio un colpetto, perché Barack ancora non gli risponde).
Ebbene, giusto ieri sera, a scoppio ritardato di una settimana, quando le controcopertine da firmare erano terminate, Veltroni si è svegliato di botto per accusare il governo di «gestione dilettantesca della vicenda»: proprio lui, che della vicenda se n’è infischiato a tal punto da rifugiarsi oltreoceano. Fatichiamo a comprenderla da qua, la vicenda: figuriamoci Walter da laggiù. «C’è ancora tempo per una soluzione, l’Italia deve ritrovare fiducia e speranza», ha detto Veltroni comodo comodo da New York. Comprendiamo la perplessità degli americani: capirai, coi mercati a picco, ci voleva la buona stella di Veltroni per abbattergli definitivamente il morale. Certe spigolature invece, lo tirano su a noi. Pare che il segretario, nel suo tour americano, abbia infatti tenuto una lezione alla City University della metropoli.

La materia? Non si sa, ma un’idea ce l’avremmo: «Teoria e tecnica per ritornare a Roma in vaporetto, visto che di aerei Alitalia, lo scopro adesso, non ne volano più, e comunque chissà se mi conviene tornare a Roma, che tanto al Pd non mi aspetta nessuno».

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