Web individualista e libertario Di' la tua

La Rete è di sinistra? Pura mitologia non suffragata dai fatti. In Italia i blog conservatori sono, e sono sempre stati all'avanguardia. Inizia oggi una serie di articoli su Internet visto da destra, per eviden­ziare come sia possibile un altro web, in linea con i principi liberali

Web individualista e libertario Di' la tua

Inizia oggi una serie di articoli su Internet visto da destra, per eviden­ziare come sia possibile un altro web, in linea con i principi liberali. Si parte con Andrea Mancia,un pioniere nel nostro Paese dell’infor­mazione veicolata attraverso le nuove tecnologie. Ha fondato Toc­queville.it, Notapolitica.it e Spincon.it. Il suo blog (con Simone Bres­san) è Rightnation.it.

«Internet è di sinistra». Non so a voi, ma è or­mai più di un decen­nio che a me tocca ascoltare questa favoletta. Con tutti gli aneddoti - più o meno in­ventati- di contorno. Dalla campa­gna elettorale di Howard Dean nel 2004, al movimento "Occupy Wall Street" con i suoi smartpho­ne di ultima generazione, passan­do da Barack Obama e i miliardi di dollari raccolti grazie alle donazio­ni individuali sul web. Da Beppe Grillo e il suo esercito di cyber-atti­visti alle "smart mob" che hanno fatto fuori Letizia Moratti sui so­cial network, passando per i mira­bili esempi di satira che prendono in giro Silvio Berlusconi su YouTu­be. La "vulgata" sull’utilizzo politi­co della Rete, almeno in Italia, ha sempre dato per scontato che la si­nistra ( in tutte le sue forme) possa godere di una sorta di superiorità strutturale rispetto agli avversari.

L’impianto teorico a sostegno di questa convinzione, per la veri­tà, è sempre stato piuttosto debo­le. Anche perché la storia stessa della rivoluzione digitale - e so­prattutto delle sue origini- è piena di casi che dimostrano l’esatto contrario. Tra i primi pensatori che si sono occupati seriamente di questi temi, ci sono futurologi come Alvin Toffler e George Gil­der che appartengono, rispettiva­mente, ai due filoni classici della destra americana: quello liberta­rian e quello conservatore. Tradot­ti raramente (e letti quasi mai) in Italia, Toffler e Gilder hanno anti­cipato di anni la rivoluzione della microelettronica e della telemati­ca. Ma gli stessi imprenditori che, in prima persona, hanno appicca­to i fuochi di questa rivoluzione nella Silicon Valley sono lontanis­simi dagli stilemi dell’immagina­rio collettivo di qualsiasi sinistra, come dimostra la recente gaffe di Nichi Vendola su Steve Jobs. E co­me Jobs, anche Bill Gates di Micro­­soft, Jack Tramiel di Commodore, Clive Sinclair (nominato baronet­to da Margaret Thatcher) in Euro­pa, sono tutti capitani d’industria che hanno creato dal nulla il mer­cato dell’informatica personale. Senza la visione, la pervicacia e l’ego smisurato di questi malvagi capitalisti, il web - come lo cono­sciamo oggi - non avrebbe alcuna ragione d’esistere.

Capiamoci bene: come è ridico­lo affermare che Internet, di per sé, è «di sinistra», sarebbe altret­tanto ridicolo affermare il contra­rio. Internet, come tutti gli stru­menti di comunicazione creati ­intenzionalmente o meno - dal­l’uomo, è neutrale rispetto al mes­saggio che veicola. È vero però che la sua struttura profonda pre­senta impressionanti analogie con qualcosa che la sinistra, so­prattutto in Europa, odia con tutte le sue forze: il libero mercato. Co­me scriveva qualche anno fa il so­ciologo Lorenzo Infantino nella prefazione all’edizione italiana di Liberalismo di August von Hayek (ed. Rubettino), "le dinamiche di scambio e di interazione, se lascia­te libere, tendono a migliorare la posizione di ciascun contraente". E gli individui, quando sono liberi di perseguire i loro interessi perso­nali, assecondano- in modo più o meno diretto- gli scopi e le esigen­ze di una molteplicità di altri indi­vidui. Per questo motivo il libero mercato è l’unica struttura in gra­do di permettere alle conoscenze possedute da pochi di raggiunge­re i molti. E non è un caso che que­sta struttura si sia evoluta sponta­neamente. Von Hayek, per descri­vere il fenomeno, utilizza il termi­ne "catallassi", che deriva dal ver­bo greco katallattein (o katallas­sein), che significa non solo "scambiare", ma anche "ammet­tere nella comunità" e "diventare da nemici, amici". Naturalmente il pensatore della Scuola Austria­ca si riferiva al mercato e non alla "blogosfera" o ai social network, ma le analogie sono evidenti.

Questa origine "non sinistra" di Internet, naturalmente, non im­plic­a che i partiti o i movimenti po­litici più attenti alla difesa del libe­ro mercato siano destinati ad uti­lizzare la Rete meglio dei loro av­versari. Al di là dell’Atlantico ci so­no molti casi in cui questo è acca­duto. Il candidato democratico John Kerry, nel 2004, ha perso defi­nitivamente ogni possibilità di sconfiggere George W. Bush quan­do i blogger della destra america­na hanno tenuto vive per oltre un mese - nel silenzio assoluto dei mainstream media - le accuse di un gruppo di veterani sul suo pas­sato in Vietnam. Sempre nello stesso ciclo elettorale, l’anchor­man della Cbs Dan Rather è stato lapidato sulla pubblica piazza di­gitale, e costretto al pensionamen­to anticipato, dopo aver tentato di influenzare le elezioni a poche set­timane dal voto con un s­ervizio te­levisivo basato su documenti gros­solanamente contraffatti. Più re­centemente, il fenomeno dei Tea Party, che ha anticipato e alimen­tato la profonda crisi politica che ancora oggi affligge il presidente Obama, è nato e si è sviluppato quasi interamente online. E non mancano personaggi politici che, grazie alla Rete, compensano bril­lantement­e la scarsa visibilità otte­nuta sui media tradizionali ( il can­didato alle primarie repubblica­ne Ron Paul è uno degli esempi più notevole). Anche nel Regno Unito, la strategia di comunicazio­ne dei Tories sfrutta sistematica­mente le potenzialità di Internet, spesso con creatività ed efficien­za.

In Italia, purtroppo, le cose stan­no diversamente. E l’argomento merita certamente un’analisi ap­profondita in altra sede. Eppure il centrodestra, in questo settore, era addirittura partito in vantag­gio. Tocqueville.it, l’aggregatore che coordino da oltre 6 anni, rac­coglie ormai quasi tremila tra blog e siti che si ispirano alle idee di "liberali, conservatori, neocon­servatori, riformatori e modera­ti". Un partito unico virtuale del centrodestra, insomma, nato as­sai prima del Pdl e che probabil­mente sopravviverà ad esso. Un luogo d’incontro e di discussione per tutte le anime di quell’Italia con non vuole sentirsi ostaggio della prepotenza culturale e politi­ca della sinistra. Una piazza digita­le in cui­convivono ed interagisco­no semplici cittadini, attivisti, uo­mini politici, giornalisti, intellet­tuali e ministri. A parte qualche ec­cezione, però, la sua esistenza è stata praticamente ignorata pro­prio dai partiti e dai media più "af­fini". A sinistra se ne è parlato e scritto molto. La sinistra ha prova­to ( senza troppo successo) ad imi­tarne il modello. A destra, tranne che in qualche caso, soltanto silen­zio.

Dal 2005 ad oggi, su Internet, so­no trascorse molte ere geologi­che. E Tocqueville.it è alla vigilia di una profonda trasformazione, che adeguerà questo strumento ad un mondo in cui non esistono più soltanto siti e blog personali ma che ha visto il prepotente emergere dei social network. Chi si lamenta di come Internet in Ita­lia sia soltanto "di sinistra" fareb­be­ bene a non lasciarsi sfuggire al­meno questa occasione.

La prossi­ma volta potrebbe essere troppo tardi.

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