Cultura e Spettacoli

Yehoshua: «Israele avrebbe salvato gli ebrei dalla Shoah»

nostro inviato a Torino
Cominciamo con l’aneddoto. Un giorno Abraham Yehoshua telefona all’idraulico e risponde il figlio. «Vorrei parlare con papà». «Papà ti vuole Yehoshua». E poi, sottovoce: «Ma è ancora vivo?».
Quando le nuove generazioni pensano che uno scrittore sia morto, vuol dire che è da così tanti anni un punto di riferimento da essere considerato ormai un classico. Ma alla domanda di Elena Loewenthal (che l’ha presentato al pubblico insieme con Alessandro Piperno), Yehoshua ride: «Non mi sento affatto un classico e anche se lo pensassi verrebbe subito mia moglie a dirmi: macché, non sei un classico per niente, mettiti a lavorare. Se tra 50 anni sarò un classico, sarò talmente morto che non avrò occasione di gioirne».
La leggerezza con cui Yehoshua ha aperto ieri la Fiera del libro di Torino è il primo messaggio di distensione per un’edizione preceduta da proteste, boicottaggi ed eccessive polemiche. Applausi a scena aperta accolgono le parole di Ernesto Ferrero, direttore della manifestazione: «Pensate che stupidità sarebbe stata impedirgli di parlare». In verità ieri la giornata è filata via liscia, almeno all’interno dei padiglioni del Lingotto, dove nessuno si è sognato di protestare o manifestare dissensi per l’invito di Israele a 60 anni dalla fondazione dello Stato. E Yehoshua, scrittore simbolo insieme con Aaron Appelfeld (che ha tenuto la sera precedente la lectio magistralis di apertura alla Reggia di Venaria), ha fatto di tutto per essere presente, visto che altri big come David Grossman e Amos Oz avevano già da tempo annunciato che non sarebbero potuti venire.
Una toccata e fuga per poi ripartire diretto a Roma, dove ieri sera è andata in scena la prima e unica rappresentazione italiana dell’opera tratta da Viaggio alla fine del millennio, di cui lo stesso Yehoshua ha riadattato il libretto.
Yehoshua è lieve e ironico, come lo sono i suoi libri (L’amante, La sposa liberata), ma duro nei concetti. Dice: «Vengo da un’antica famiglia di Gerusalemme, che viveva là già nel XIX secolo. Io deploro il fatto che gli ebrei non abbiano potuto creare uno Stato prima dell’Olocausto. Se avessimo avuto uno Stato si sarebbero potuti salvare molti ebrei negli anni ’20 e ’30. Voi non potete capire che cosa è stato l’Olocausto per noi. È un colpo da cui mai, mai ci riprenderemo. Tutti quei milioni di ebrei sono morti per niente, e noi soffriremo fino alla fine dei nostri giorni per questo. Ed è per questo che nel momento in cui io esamino la storia degli ebrei con la lente della catastrofe io mi arrabbio così tanto perché gli ebrei non avevano un loro Stato». Una risposta forte e chiara a chi nei giorni scorsi, a cominciare dal professor Vattimo, ha esaltato i diritti palestinesi per attaccare Israele e a quanti continuano a negare legittimità all’esistenza stessa dello Stato israeliano.
Poi si parla di moralità nella scrittura, dei suoi personaggi, di come i suoi romanzi riescano a raccontare e interpretare il grande fluire della Storia attraverso le storie minime e i sentimenti dei singoli. Come in Fuoco amico, l’ultimo libro, pubblicato da Einaudi, dove la tragedia della guerra e la perdita del figlio per la pallottola partita dal fucile di un commilitone portano il protagonista a rifugiarsi nell’Africa nera e al rifiuto totale della propria nazione, al punto da bruciare nella stufa i giornali in ebraico che la sorella gli porta in regalo.
La sala è piena di studenti dei licei di Torino e provincia. Dal pubblico una ragazza domanda: «Il boicottaggio è un atto di antisemitismo?». Yehoshua, lievemente e duramente, risponde: «Sono molto dispiaciuto per questa storia del boicottaggio. Da quarant’anni mi batto per il riconoscimento dello Stato palestinese. Sono stato tra i primi firmatari della petizione all’Onu affinché il mio governo tratti con l’Olp e ora sostengo il dialogo con Hamas. Gli intellettuali, gli scrittori tengono per il dialogo, non per il boicottaggio». Applausi scroscianti e prolungati. Poi riprende: «Io prego che in futuro nasca uno Stato palestinese. E vorrei che la prossima edizione fosse dedicata a loro e che li invitaste alla Fiera di Torino. Allora io tornerei qui per salutarli».
Partito in modo lieve, l’incontro si chiude con altre battute, perché Yehoshua è un gigione simpatico e riesce a coniugare il peso delle cose che dice con l’ironia senza diventare mai noioso.

A un ragazzo che domanda perché spesso nei suoi libri separa i coniugi e racconta le storie dei due personaggi in modo parallelo, risponde: «Lei è giovane, ma dopo 48 anni di matrimonio, come me, lei capirà che cosa voglio dire».

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