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Lo Yemen cancella le illusioni: ormai quei sogni di primavera (araba) sono incubi per Obama

Dopo i fallimenti in Egitto e in Tunisia, Al Qaida comincia a mettere le mani su uno dei Paesi strategici della regione. A Sanaa la "rivolta di popolo" è in realtà una feroce guerra tribale. Il rischio: se Saleh cade potrebbe nascere un califfato di fronte all’anarchica Somalia

Lo Yemen cancella le illusioni: ormai quei sogni 
di primavera (araba) sono incubi per Obama

Le astrazioni intellettuali sono belle e fascinose, ma le illusioni devono fare i conti con la realtà. Ora se ne sta ren­dendo conto anche il visiona­rio Barack Obama. Dopo aver fatto delle rivolte arabe la propria bandiera, dopo averle ridotte nei suoi discor­si ad un unico sogno indistin­to, eccolo alle prese con la pri­mavera yemenita. Una pri­mavera scoppiatagli tra le mani. Una maledetta prima­vera capace - nella migliore delle ipotesi-di ridurre lo Ye­m­en ad un buco nero d’insta­bilità, nella peggiore di tra­sformarlo in un nuovo califfa­to di Al Qaida.

Lo testimoniano gli scontri sanguinosi che infuriano in queste ore intorno alla capi­tale Sanaa assediata dai guer­rieri Hashid, una federazio­ne tribale decisa a farla finita, una volta per tutte, con l’ina­movibile presidente Abdul­lah Saleh. Lo dimostra l’of­fensiva integralista nel sud del Paese dove i terroristi di “Al Qaida nella Penisola Ara­ba” (Aqap) controllano or­mai due città. Lo comprova l’arrivo nella regione di John Brennan, il super consigliere per l’antiterrorismo spedito a cercar di comprendere co­sa non funzioni nei sogni in­tellettual- romantici del pre­sidente. Per capire che lo Yemen fos­se un ginepraio e intuire che la rivolta in corso da gennaio non fosse solo un impetuoso afflato di democrazia non ser­viva un veterano della Cia co­me Brennan. Bastava segui­re le cronache yemenite.

Il nord del Paese è dilaniato da più di sette anni dalla rivolta delle tribù sciite. Il sud è una terra nessuno in cui Al Qaida ha totale libertà di movimen­to. Il resto del territorio è un puzzle di rivolte e contese tri­bali. In questo contesto quel vecchio arnese del presiden­te Abdullah Saleh, rieletto con percentuali bulgare dal 1978 in poi, non era certo un faro di democrazia e liberali­tà. Saleh garantiva però un minimo di stabilità, arginan­do le pulsioni filoiraniane del nord e quelle terroristico­fondamentaliste del sud. Ora invece il ginepraio è una santabarbara in fiamme. Ed anche stavolta la Casa Bian­ca non è priva di responsabili­tà. Come già successo in Tu­nisia, Egitto e Libia il presi­dente Obama e i suoi consi­glieri - pur regalando incon­d­izionati appoggi verbali ai ri­voltosi - han trascurato d’in­dividuare una fazione in gra­do di garantire un cambia­mento controllato e di difen­dere gli interessi occidentali. E così anche la primavera ye­menita è ormai una metasta­si fuori controllo. La rivolta degli Hashid guidata dallo sceicco Sadiq Al Ahmar era forse la più gestibile. La tribù ha dato i natali anche al presi­dente Saleh.

Lo sceicco Al Ah­mar, incaricato dagli anziani di guidare la marcia su Sanaa e deporre l’ormai detestato presidente, ha studiato per cinque anni negli Stati Uniti dove ha conseguito nel 1987 un brevetto di pilota. Dun­que Al Ahmar era il candida­to ideale per rimpiazzare Sa­leh senza trasformare la rivol­ta in guerra tribale. Per favorire la transizione sa­rebbe bastato garantire allo sceicco l’alleanza dei reparti dell’esercito yemenita adde­strati dagli stessi americani in funzione anti Al Qaida. La forza militare e la potenza di fuoco di quella coalizione sa­rebbe bastata a convincere Saleh a farsi da parte. Oba­ma, invece, ha tentennato an­che stavolta. Ed ecco il risulta­to. Le cosiddette “forze spe­ciali” governative invece di spianare la strada ad Al Ah­m­ar combattono una sangui­nosa guerra con le milizie tri­bali dello sceicco.

E quest’ul­timo pur di conquistare Sa­naa ha accettato l’alleanza con alcune fazioni integrali­ste. Ma la situazione più inquie­tante è al sud. Al Qaida, dopo aver conquistato sabato il ca­poluogo provinciale di Zinji­bar, ha alzato le sue bandiere mercoledì anche sulle mo­schee di Azzan, dichiarata parte del nuovo emirato isla­mico.

Un emirato pronto, gra­zie all’alleanza con i gruppi qaidisti somali, a conquista­re anche­il controllo del brac­cio di mare che divide la peni­sola araba dal Corno d’Afri­ca.

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