Cultura e Spettacoli

Zavattini e quei lontani pomeriggi nella Parma letteraria degli anni Trenta

Pomeriggi al caffè è un piccolo, prezioso libro (edizioni Bruno e Manuela Barani) pubblicato, per l’appassionata cura di Marzio Dall’Acqua, in occasione dell’omonima mostra per conto dell’Archivio di Stato di Parma. E qui, nel circoscritto ambito di settanta pagine - corredate da foto d’epoca, disegni, copie fotostatiche di vetusti, cordialissimi commerci epistolari - prendono via via corpo e senso amicali consuetudini. Ovvero, le ore, i giorni lontani - declinanti anni Venti, primi anni Trenta - cadenzati da lunghi conversari, sbrigliati castelli in aria, disinibite voglie matte lievitanti nei locali dei rinomati caffè d’antan (il «Marchesi», il «Centrale», ecc.) dell’odiosamata Parma, croce e delizia di precoci intellettuali, letterati-amateurs, gente di cultura in ascesa spericolata verso qualche effimera notorietà o, persino, una sicura gloria.
Esplicito, del tutto eloquente suona poi il sottotitolo: «Attilio Bertolucci, Pietro Bianchi, Alessandro Mainardi e Cesare Zavattini nella Parma ai tempi di Sirio, 1929». Del resto l’incipit dell’introduzione di Marzio Dall’Acqua ai Pomeriggi al caffè mette subito in chiaro l’intento che anima la memoria di quei tempi, di quei luoghi, di quei personaggi: «Al caffè io parlavo poco, chi parlava riuscendo straordinario era Pietrino. Era una tale sirena - rievoca Bertolucci in All’improvviso ricordando -, i nostri erano tra i caffè letterari più famosi d’Italia, ma io parlavo poco...».
Ai già citati Pietrino Bianchi, poligrafo e futuro critico cinematografico del Giorno, Attilio Bertolucci, l’ormai celebre poeta (Sirio, Fuochi di novembre, Viaggio d’inverno, La camera da letto), il drammaturgo Ugo Betti, il dottor professor Saviotti e una folta schiera di letterati, pittori, giornalisti a vario titolo orbitanti attorno alla Gazzetta di Parma. Ma, per certi verso, il deus ex machina del defilato «movimento» radicato nella Parma di quella stagione fervida e ricca di giovanili ardori, era e resta Cesare Zavattini che, pur già lontano per fare le sue fantasiose prove di giornalista, scrittore e sceneggiatore, raccontava ai suoi amici e complici parmensi novità, paradossi, controsensi del vasto mondo.
Pomeriggi al caffè si condensa, così, coi suoi informali testi, le caricature, il chiacchiericcio spiritoso, la sottile nostalgia, in una sorta di pubblica autodelazione ove l’amicizia, l’arte, la passione creativa, la civile consuetudine sociale si fondono in una nobile, alta moralità intellettuale. Tanto che - come sottolinea il curatore - «questo libretto costruito su documenti, fotografie, ricordi, caricature, come uscite da un dimenticato cassetto...» risulta «lieve e profuma ancora di giovinezza.

Di quelle giovinezze».

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