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Zenga, all’Uomo Ragno serve un’impresa «Per me e non per l’Inter»

«A quattro minuti dalla fine era fatta, e invece...». Del Piero, che mai aveva segnato all’ex portiere, nega la festa al Catania

da Torino

Due mesi e una vita dopo, Walter Zenga tocca con mano quanto possa essere crudele il calcio anche nei panni di allenatore. Non che non l'avesse già capito, ma siccome questi sono i suoi primi mesi da tecnico di una squadra italiana, gli scherzi che il destino pare volergli giocare non sono roba da poco. Ieri, contro la Juventus avversaria di tante battaglie, l'Uomo Ragno ha visto raggiunto il suo Catania quando al termine mancavano pochissimi minuti per non dire secondi: gol di Del Piero, uno che lui ha incontrato anche da giocatore senza esserne mai battuto. Risultato: con l'Inter finita nel pallone il giorno dello scudetto annunciato e poi (per ora) svanito, ai siciliani toccherà giocarsi tutto domenica prossima contro la Roma, la squadra che in un colpo solo può portare via il tricolore ai nerazzurri e la salvezza al Catania. Saranno novanta minuti di fuoco che il buon Walter si sarebbe volentieri evitato. «Siamo stati salvi fino a quattro minuti dalla fine - racconta a fine partita, lo sguardo quasi perso nel vuoto -. Abbiamo preso un gol incredibile, in mezzo alla nostra area di rigore e nonostante in quel momento giocassimo con tre difensori centrali». Impossibile avere pace. E infatti, appena sentito il fischio finale dell'arbitro, l'allenatore del Catania se ne era rimasto lì imbambolato a fissare il terreno. Incredulo. Poi, quasi riavutosi, aveva stretto la mano al quarto uomo, a Ranieri, Trezeguet e Nedved. Sarebbe voluto scappare via in quel preciso momento: dopo avere preso a calci una bottiglietta d'acqua che aveva il torto di trovarsi a tiro un paio di secondi dopo il gol di Del Piero. Invece non è stato possibile farlo: «Mi sarei dovuto mettere a ridere?». Impossibile, certo. Ma è la vita crudele dell'allenatore. Attaccato a un filo. Sempre. A un gol subito da un campione come Del Piero, a uno realizzato quasi di pancia come quello di Martinez. Il problema è che adesso mancano novanta minuti alla fine del campionato e l'ultimo turno manda in scena la crudeltà assoluta: Parma-Inter e Catania-Roma. I siciliani hanno bisogno di un punto per essere matematicamente salvi, i nerazzurri devono fare bottino pieno per non farsi scavalcare dalla Roma eventualmente vincitrice sull'isola. Equazione più o meno impossibile da risolvere: qualcuno ci rimetterà quasi per forza, perché nel frattempo l'Empoli ospiterà il già retrocesso Livorno «e il paradosso è che potrebbe passarci davanti proprio nel rush finale».
Due mesi e una vita dopo, Walter Zenga si trova insomma contro l'Inter. La sua Inter: da sempre la squadra del cuore, quella con cui ha vinto uno scudetto, una Supercoppa italiana e due Coppe Uefa. La squadra che gli ha permesso di venire eletto tre volte miglior portiere del mondo, di diventare «L'Uomo Ragno» per la spettacolarità e l'efficacia delle sue parate. L'Inter che lui ha sempre sognato di poter un giorno allenare. L'ultimo, appunto, due mesi e una vita fa: il giorno dopo lo sfogo di Mancini che, eliminato dalla Champions League, aveva annunciato che l'anno prossimo non si sarebbe più seduto sulla panchina nerazzurra facendo anche pensare a qualcuno che difficilmente avrebbe portato a termine l'attuale stagione. «Io come traghettatore? - era l'opinione di Zenga datata 12 marzo -. Ho dato ventidue anni della mia vita all'Inter ed è da tempo che giro il mondo per guidare squadre importanti come Steaua e Dinamo Bucarest. Se mi chiamassero non potrei dire di no, anche se preferisco considerarlo come un sogno a lunga scadenza». Non lo hanno chiamato. Mancini è ancora lì e il 1 aprile si è materializzata la possibilità di allenare il Catania: non era però quello lo scherzo, semmai ci sarà da ridere e/o piangere domenica prossima, poco prima delle 17. «Io penso a salvare la mia squadra e basta.

Dell'Inter, al momento, non mi importa proprio nulla».

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