Controcultura

Zoff, Gentile... Tardelli. Gli ex calciatori non scrivono coi piedi

Nei loro libri, atleti e allenatori sono più sinceri che nelle interviste. Dal Trap a Rivera, da Causio a Sacchi un pressing continuo sui ricordi

per Zoff Balotelli colpevole come tutti gli altri
per Zoff Balotelli colpevole come tutti gli altri

Pasolini li chiamava i «poeti delle gambe», quelli che stanno un gradino sotto gli angeli, i sacerdoti del fútbol, la sola religione, scriveva Galeano, che non conosce atei. Camus, se non fosse stato per la tubercolosi, avrebbe voluto essere uno di loro, portiere, lontano e impossibile: «Tutto quello che ho imparato nella vita riguardo alla morale, lo devo al calcio» esagerava come un qualsiasi giornalista sportivo. Così come Nabokov che si vedeva, sempre in quanto portiere, come «un'aquila solitaria, uomo del mistero». Adesso, al posto di quelli che giocano con la testa ci sono quelli che scrivono con i piedi. E non è la stessa cosa.

Non s'erano mai viste come in questi ultimi anni tante biografie e autobiografie di calciatori, di solito abbonati più alle Letterine che alle lettere. Mezza nazionale Mundial, quasi tutta l'Italia di Berlino, i grandi della Grande Inter, metà del Milan di Rivera, Rivera compreso, la Juve da Zoff a Buffon, almeno 400 titoli ancora in circolazione. Sarà la voglia di raccontarsi o di correre via dal tempo. Perché, come Zoff titola il suo libro, Dura solo un attimo la gloria.

PORTIERE Zoff, appunto, l'uomo dei grandi silenzi, l'abitatore antartico prestato alla civiltà del cicaleccio, il capitano che aveva una parola sola perché a tre faceva fatica ad arrivare, ha riempito 172 pagine di ricordi, trentatré anni dopo essersi ritirato: parole meditate a lungo, quindi, e tirate fuori una per una da Marco Mensurati. Per raccontarsi un po' come Fantozzi: «Sono un operaio specializzato, che con passione e serietà tutti i giorni ha timbrato il cartellino, mai un raffreddore, mai un infortunio, sempre al mio posto in qualunque condizione. Se davvero sono stato un monumento, sono stato un monumento ai lavoratori. Questa è stata la mia minuscola grandezza, la mia vita, la mia dignità». Detta così potrebbe giocare pure nella squadra di sotto.

TERZINI Claudio Gentile che nel libro però gioca in attacco, pentito fin dal titolo di essersi comportato come da cognome. E sono stato Gentile è sentimento ma anche risentimento. Pentito di essersi fidato dell'Italia, «mi hanno rovinato la carriera», offeso del soprannome di Gheddafi, deluso da Maradona, stanco dell'etichetta di strappamaglie a tradimento. Poi Mourinho, maestro di difesa e contropiede, di tattica e dialettica. Si racconta come può fare solo l'uomo più mediatico del mondo, attraverso le foto, come Gisele Bundchen. Se volete la summa del suo pensiero rivolgetevi alla Sambuca Molinari: «Vuoi essere più carismatico di tutti, lavora su te stesso e prima o poi ci riuscirai; vuoi essere più vincente di tutti? Siediti e rilassati. Il primo posto è già preso...».

CENTRALI Il Trap sopra tutti, che già nel nome è una parola futurista come zang, pic pac grand grand e strunz, e che un linguaggio immaginifico l'ha inventato di suo. L'italiano fluente del suo libro lo deve a Bruno Longhi, che gli strappò per primo in tv il Non dire gatto e che in gioventù faceva il musicista: ecco allora che le parole diventano musica anche per il Mogol delle panchine. In libreria è appena arrivato Ivan Ramiro Cordoba che del suo Combattere da uomo ha detto: «Non sono uno che lancia messaggi, non sono un profeta». Sulla carta rivendica con orgoglio lo scudetto di cartone.

CENTROCAMPISTI Marco Tardelli, che più che parola è stato grido: «Il mio urlo è durato sette secondi. Quei 175 fotogrammi mi hanno regalato un posto nella storia del calcio e cancellato tutta la mia vita. Non c'è stato più un prima e non c'è stato un dopo. Tutti mi ricordano per quei sette secondi, un attimo di estasi racchiuso in un gesto irripetibile». Si è raccontato alla figlia Sara, senza mezze misure, da qui il titolo definitivo: Tutto o niente. Con lui per forza Causio, che titola la sua vita con una frase di Vince Lombardi, riciclata da Boniperti, Vincere è l'unica cosa che conta: racconta di come fu scartato da Bearzot al Torino e di come stese a scopone Pertini con una finta. Ricorda quando sostituì in Nazionale Gianni Rivera, il suo idolo di ragazzino milanista. Rivera che, noblesse oblige, ha fatto le cose in grande come sul campo: un'enciclopedia illustrata, peso quattro chili, nata nelle scatole di camicie dove il padre Teresio raccoglieva tutti i ritagli dei giornali che parlavano del suo bambino prodigio, quando viveva nella «vecchia casa con un cortile su un ballatoio col gabinetto in comune». Il riscatto è sempre un contropiede riuscito. Claudio Marchisio gioca d'anticipo con una social biografia, Nero su bianco, prima ancora di smettere di giocare. Inseguire Del Piero in pullman ragazzino con il papà è la sua impresa migliore. Difficile per tutti toccare i livelli di Francesco Totti: quando mandò in libreria il suo libro di barzellette, che lo raccontavano meglio di qualunque biografia, per l'intelligenza che ci stava dietro, toccò le 600mila in una sola estate.

ATTACCANTI Arrigo Sacchi (Calcio totale), il padre di tutte le ripartenze che da bambino voleva diventare direttore d'orchestra ed era innamorato dell'Ungheria: «Ma come fanno a piacerti, sono tutti comunisti» gli domandavano a Fusignano. Vale il prezzo del biglietto la sua risposta a chi gli chiedeva come potesse fare l'allenatore chi non aveva mai giocato a calcio: «Per fare il fantino non è necessario essere stato un cavallo». Luisito Suárez Miramontes, «futbolista español del siglo», grande quanto piccola era la via del quartiere Hercules di La Coruña dove è nato, ha scritto L'architetto. Basterebbe dire che con i denari della sua cessione all'Inter finirono le tribune del Camp Nou.

Ma qui è la realtà che supera la fantasia.

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