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Gratteri gela Formigli sul caso Delmastro. Ecco il documento che lo scagiona

Non c'era niente di segreto, nelle carte pervenute ad Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia, sugli incontri in carcere tra il terrorista anarchico Alfredo Cospito e due deputati del Partito democratico, riferiti poi da Delmastro al compagno di partito Giovanni Donzelli

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Non c'era niente di segreto, nelle carte pervenute ad Andrea Delmastro (foto), sottosegretario alla Giustizia, sugli incontri in carcere tra il terrorista anarchico Alfredo Cospito e due deputati del Partito democratico, riferiti poi da Delmastro al compagno di partito Giovanni Donzelli. A dirlo non è solo Delmastro. Lo afferma un documento che porta una firma inattaccabile: quella di Giovanni Russo, magistrato, procuratore aggiunto alla procura nazionale antimafia e oggi capo del Dap, il dipartimento delle carceri. É lui, il 22 giugno scorso, a scrivere al difensore di Delmastro, Giueppe Valentino. La chiarezza della risposta di Russo rende ancora più difficile capire come abbia potuto il giudice romano Maddalena Cipriani rinviare a giudizio Delmastro, contro il parere della Procura della Repubblica. E rende invece chiaro perchè Nicola Gratteri, procuratore di Napoli, abbia sposato senza mezzi termini in televisione, spiazzando il conduttore Corrado Formigli, la linea di Delmastro: «quelle carte non erano segrete».

Scrive il 22 giugno Russo al difensore del sottosegretario: «l'apposizione della clausola di limitata divulgazione" alla documentazione aveva la finalità di contrassegnare detta documentazione come materiale non destinato alla diffusione pubblica e indiscriminata ma utilizzabile - in tutti i suoi contenuti - per l'esercizio delle prerogative costituzionali di chi ne venisse a conoscenza». Se qualcuno volesse obiettare che riferendo il contenuto a Giovanni Donzelli, membro del Copasir, il sottosegretario Delmastro sia fuoriuscito dall'«esercizio delle prerogative istituzionali», la lettera di Russo prosegue ancora più nettamente: «nessuna preclusione ne poteva derivare in capo al sottosegretario sul piano della condivisione con soggetti terzi, individuati dal sottosegretario quali interlocutori idonei a contribuire alla formulazione di valutazioni». E ancora: «le informazioni ben potevano essere oggetto di comunicazione ed interlocuzione con soggetti istituzionali», tra i quali Russo cita espressamente «commissioni parlamentari». Tra cui c'è il Copasir.

La lettera di Russo poggia a sua volta su un documento: la nota che lo stesso Russo riceve l'1 febbraio da parte di Ezio Giacalone, capo del Nucleo investigativo centrale della Polizia penitenziaria. Due giorni prima, Giacalone aveva trasmesso a Russo un appunto sugli incontri in carcere di Cospito, all'epoca impegnato in uno sciopero della fame ad alto impatto mediatico-politico. Scrive Giacalone: «con riferimento all'appunto informale del 30 gennaio si rappresenta che la natura del documento non rivela o disvela contenuti sottoposti al segreto investigativo o rientranti nella disciplina degli atti classificati».

La stessa procura di Roma, che ha condotto l'indagine nata dalla denuncia del «verde» Angelo Bonelli, ha dovuto orientarsi in un labirinto di circolari e decreti, studiando la differenza tra due registri (di cui finora poco si sapeva) in cui vengono inseriti i documenti proveniente dalle carceri: la «Riservata Ponente», dove finiscono gli atti segreti e segretissimi, e il «Protocollo Calliope», dove approdano le carte «a limitata divulgazione», come l'appunto sugli incontri di Cospito (in cui, oltre agli incontri con gli esponenti del Pd, vengono citati anche i contatti con due malavitosi). La procura, guidata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, si convince che anche per gli atti di «Calliope» valga una sorta di «segreto amministrativo». Ma, si legge nella richiesta di archiviazione, «la faticosa ricostruzione del sistema normativo extrapenale e la complessa individuazione degli effetti della circolare del Dap» rendevano tutto così confuso da giustificare l'errore di Delmastro.

Eppure lo hanno mandato a processo.

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