«Il contaminato Caravaggio non tratti il divino»

Presentato il testo di Sgarbi sul Merisi, artista che non piaceva al cardinal Federico

Francesca Amé

«Non mi è ancora capitato di scoprire un Caravaggio». Così ironizzava Vittorio Sgarbi sulle tante attribuzioni (spesso fasulle) riferite all'artista seicentesco. Lo ha fatto presentando la sua ultima fatica libresca, il bel volume «Caravaggio» (pagg. 208, 20 euro) edito da Skira in concomitanza alla mostra a Palazzo Reale sul movimento caravaggesco in Europa. «Monografia restrizionistica ma completa», chiosa il critico che, con un ricco compendio bibliografico e una scheda dettagliata per ogni opera, ha voluto includere nel volume solo le attribuzioni certe del pittore lombardo. «Novità - ha detto Sgarbi - non ce ne sono». Non è del tutto vero: in uno dei saggi in apertura, emerge un aspetto della personalità di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, piuttosto interessante. Lo è ancor di più per noi milanesi, considerato che riguarda il legame tra l'artista e il cardinale Federico Borromeo. Riprendendo la tesi di Ferdinando Bologna, Sgarbi cita un documento scoperto solo una decina di anni fa in cui il cardinale milanese si dimostra tutt'altro che tenero con il pittore che descrive come uomo di «sozzi costumi» e che «si vivea del contiguo tra i garzoni delle cucine». E ancora, più pesantemente: «Uomini contaminati non devono trattare cose divine».
Insomma: Caravaggio non sarebbe, come molti ritengono, il «pittore di Federico», ma un artista che un buon cristiano deve evitare, non potendone accettare la poetica dominata dal male e dal dolore. Caravaggio è un ateo privo di speranza secondo Sgarbi, che prende come esempio per questa sua tesi la drammaticità del «Seppellimento di Santa Lucia», in questi giorni in mostra a Palazzo Reale. Questo olio, dipinto dell'ultima stagione caravaggesca, è stato anche uno dei due pomi della discordia che ha reso l'inaugurazione della mostra milanese più piccante del solito. È lo stesso Sgarbi a rivelare i retroscena che hanno reso difficile il prestito: Caterina Bon Valsassina, direttrice dell'Istituto centrale del restauro, ne avversava lo spostamento per ragioni legate al mantenimento del dipinto. «L'opera è rimasta per anni all'istituto e oggi è in grado di essere messa in mostra. Figurarsi se uno come Caravaggio, che nella vita faceva di tutto, deve essere trattato come una vergine da chiudere in casa», questo il commento di Sgarbi.
Di fatto il prestito è stato concesso dalla Regione Sicilia, ente competente in materia artistica sui beni locali di sua proprietà, e la frattura è stata sanata. Ancora aperta quella relativa al mancato prestito della «Cena di Emmaus» a Brera. Una pecca che non ha comunque offuscato il successo dell'esibizione di Palazzo Reale che riserva per il prossimo anno due importanti novità: la prima è nel prolungamento della mostra sino al 28 febbraio, la seconda nell'organizzazione di un convegno di studi a fine gennaio dedicato a Caravaggio e ai caravaggisti.


«Analisi rigorose, nessuna polemica», promette Sgarbi che, sulla scorta delle previsioni dell'assessore alla Cultura Stefano Zecchi, sciorina anche qualche dato: «Caravaggio sta avendo più fortuna di Van Gogh a Brescia: si prevedono oltre 400mila presenze in totale e questa mostra batterà anche Picasso».
Il riferimento è alla fortunata esibizione dedicata all’artista spagnolo che proprio a Palazzo Reale registrò un significativo boom di visitatori quasi cinque anni fa.

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