Cronache

"Ma ora tocca all'Italia darmi l'assoluzione"

Bruno Contrada: "Nessuno mi restituirà 23 anni di sofferenza. Però voglio una sentenza del mio Paese"

"Ma ora tocca all'Italia darmi l'assoluzione"

«Quel “Bruno Contrada contro l'Italia” sulle carte del ricorso a Strasburgo non posso vederlo. Io contro il governo italiano, la patria che io ho sempre servito e che è stata la mia ragione di vita, giudicato da un tribunale straniero...».

Dottor Contrada, dopo 23 anni la corte di Strasburgo le ha dato ragione e non è soddisfatto?

«Certo che lo sono, è un punto fermo dopo 23 anni di sofferenza, di tormento, di devastazione della mia vita fisica, morale, psicologica. Ma io voglio essere assolto in nome del popolo italiano. Voglio una sentenza della giustizia del mio Paese, dove sono nato, vissuto e morirò. Se la sentenza può valere per questo, per la revisione del processo in Cassazione ben venga. Fermo restando che nessuno può restituire 23 anni di vita a un essere umano, la mia vita è distrutta».

Ci sperava?

«Dopo l'altra sentenza di Strasburgo a mio favore, un anno fa, a proposito dell'ingiusta detenzione in carcere si. Ma ribadisco, io prima che europeo sono italiano, ho diritto a un verdetto di assoluzione italiano. Chi ci governa, chi ci amministra dovrebbe tenere conto di questa sentenza sul concorso esterno in associazione mafiosa, e agire di conseguenza, come si è fatto con la legge sulla tortura adesso, dopo il pronunciamento europeo sui fatti della Diaz».

Il suo ex pm ora non più in toga, Antonio Ingroia, dice che Strasburgo ha preso una cantonata e che comunque i fatti a lei contestati erano punibili per favoreggiamento. Cosa replica?

«Le affermazioni dell'avvocato Ingroia non mi interessano, è una sua opinione personale. Su quello che ha fatto da pm nel mio processo ho delle opinioni precise che non intendo esternare, per rispetto non a lui ma alla magistratura italiana. Segua da avvocato i suoi clienti, evidentemente ancora non si rassegna al fatto che non può più occuparsi di me».

Lei si è sempre proclamato innocente e Strasburgo ora le dà ragione. Ma perché in Italia Bruno Contrada è stato condannato?

«Dobbiamo contestualizzare il mio processo, quel '92, l'abbattimento di quel sistema di Stato, di governo. Bisogna tenere conto delle invidie nella mia amministrazione, delle aspirazioni di carriera, del senso di rivalsa nei miei confronti. Il colpo di genio che hanno avuto quelli che mi hanno inquisito è stato tenermi 31 mesi e 7 giorni in regime di carcere preventivo, limitando le mie possibilità di difesa e determinando nell'opinione pubblica la convinzione che, se ero stato incarcerato, qualcosa dovevo avere pur fatto. Tanti imputati di concorso esterno aspettano liberi il processo. Io invece dovevo stare dentro, unico detenuto (nel carcere militare di Palermo, ndr ) come Rudolf Hess a Spandau, a oltre 60 anni senza nemmeno un water decente perché in cella c'era il bagno alla turca. E non mi sono mai lamentato, e non ho mai chiesto niente, non mi facevo nemmeno portare cibo da casa. Perché non sono state prese in considerazione le testimonianze di 142 uomini delle istituzioni? Cinque capi della Polizia, direttori del Sisde, prefetti, questori, generali della Guardia di Finanza. E poi i tanti miei colleghi che sono venuti a testimoniare per me, quelli che lavoravano con me giorno e notte. Erano testimoni della verità dei fatti e li hanno disprezzati».

Ed è arrivata la condanna.

«Sì, senza neanche un fatto. Anzi, nella seconda sentenza d'appello, che conferma la condanna in primo grado, c'è scritto che è da escludersi che io abbia agito per soldi, che io sia stato un corrotto. E allora perché, per far carriera? Ma io ho fatto carriera per i miei superiori, non perché lo diceva Riina».

Le hanno dato anche un risarcimento.

«Già. Ma perché 10mila euro? Non basterebbero neanche 10 milioni di fronte a una vita distrutta. Mi hanno tolto tutto, la libertà, la carriera, i diritti civili. Io non posso votare, l'immigrato che ha la cittadinanza si. È un risarcimento simbolico? Allora dovevano darmi un euro, avrei fatto l'elemosina al primo mendicante».

Spera ancora in un verdetto favorevole in Italia?

«Non voglio essere troppo pessimista, ma ci sono tutti i motivi per esserlo. Intanto ringrazio il Padreterno di essere arrivato fino a questo punto.

Non per me, alla mia età ormai è finita, ma per i miei figli e i miei nipoti».

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