PHILIP DICK Se i «tecnocrati» sono peggiori dei peggiori politici

«“Porrà termine alla setta della tecnocrazia?” domandò Fields. “Il mondo non deve essere più forgiato a misura di soli esperti”». Metti un'umanità incapace di prendere decisioni dopo una serie di guerre devastanti. Metti una dittatura fondata su macchine onniscienti, computer-oracolo con uan risposta a tutti i problemi. Metti un sistema di vita fondato sulla paranoia e sul controllo. Metti una strana congregazione di “preti” che vuole rovesciare lo status quo e restituire la libertà ai cittadini. Metti tutto questo nelle mani di Philip Dick e avrai un romanzo alla Philip Dick, «Vulcano 3» (ora ristampato da Fanucci con nuova traduzione di Tommaso Pincio e introduzione di Carlo Pagetti). Un romanzo generoso, troppo generoso, al punto che la ricchezza strabordante d'idee diventa un limite, risolvendosi in un caos di trame, sotto-trame, personaggi che vanno e vengono, abbozzi di tirate ideologiche e teologiche. Intendiamoci: comunque una lettura piacevole, anche se non un capolavoro.

In «Vulcano 3» la tecnocrazia, nella sua neutralità rivendicata ma apparente, si rivela peggiore della peggiore politica. E lo slogan dei “preti” suona attuale anche nella triste Italia di Monti: «Hai voce in capitolo su come gestire la tua vita? Quand'è stata l'ultima volta che hai votato?».

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