Kate Bush, ritorno inutile tanto fumo e poca anima

Tutto ci si poteva aspettare dal talento eccentrico e raffinatissimo di Kate Bush, tranne che dopo un silenzio di molti anni la magnifica musicista inglese tornasse alla ribalta con un album di così ristretti orizzonti. Fin dalle voci d’uccelli e di bambini che contrappuntano le effusioni del pianoforte in Prelude, riciclando trucchi abusati dell’illusionismo musicale, il doppio cidì ripercorre tragitti già sperimentati, svelando come la Bush, dopo aver dato tanto alla demolizione di stereotipi e di luoghi comuni, abbia smarrito l’eterodossa ispirazione e il colto sperimentalismo che l’hanno resa famosa. Nulla di male, succede. Ma allora è meglio mantenere le braccia incrociate, aspettando che le idee ritornino.

Così quello che vorrebbe essere un lungo, incantato tributo alla naturalità perduta del nostro tempo, secondo un criterio che dalla Pastorale beethoveniana arriva a The secret life of the plants di Stevie Wonder, si rivela un puntiglioso esercizio di oleografia naturalistica, scritto con saldo mestiere e con astuzia effettistica, certo, e con sicura capacità seduttiva, ma con qualche detrimento dell’estro visionario e forse con poca anima.

KATE BUSH Aerial (Emi)

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