Il legame salvato col genitore detenuto

Viviana Persiani

Avete mai pensato al destino di quei minorenni i cui genitori, madre o padre, vengono reclusi in carcere? In Italia si parla di almeno 100mila bambini - circa 2 milioni in Europa - con una ricaduta in termini sociali molto importante. Dal 2002 l'associazione «Bambinisenzasbarre», grazie alla sensibilità di psicologi e pedagogisti, offre attenzione, ascolto e accompagnamento psicologico ai bambini e ragazzi che vivono l'esperienza potenzialmente traumatica della separazione dal genitore e dell'incontro in carcere. Lia Sacerdote, presidente di «Bambinisenzasbarre», racconta come lavorando con il ministero della Giustizia, del Garante per l'Infanzia, con il Consiglio d'Europa e con il Parlamento Ue, ma soprattutto con il personale delle carceri, lei e i colleghi con i quali condivide la stessa mission, stiano aiutando questi bambini a ritrovare la fiducia nel loro genitore, contribuendo a restituire a quest'ultimo il proprio ruolo genitoriale, spesso difficile da recuperare in detenzione. «Il carcere - dice Sacerdote - pur venendo percepito dai bambini come estraneo e minaccioso, è un luogo che devono necessariamente frequentare per mantenere il legame con i genitori, un legame fondamentale per la loro crescita. Un legame che si fonda sulla relazione affettiva che rimane intatta, non essendo legata al reato commesso dal genitore. Il padre in carcere continua ad amare il figlio e viceversa.

Inoltre, il mantenimento della relazione col genitore attraverso i regolari colloqui in carcere è il principale strumento di protezione, per il bambino, dal diventare soggetto a rischio, perché il contatto diretto permette la separazione psichica dal genitore da cui egli si distingue e autonomizza scegliendo stili di vita differenti. Così, la visita in carcere diventa anche un incontro con la legalità, se passa attraverso un'esperienza di rispetto della persona e dei suoi diritti umani».

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