Montanelli e i «pistaroli» giustizialisti

Le «trame nere», e il conseguente arresto del generale Vito Miceli, presunto golpista, occupano molto spazio in queste quattro prime pagine. Spazio che, postumamente, dobbiamo ritenere del tutto immeritato (il generale fu assolto «perché il fatto non sussiste»). Ma così va la giustizia italiana e, in scia, va anche l’informazione italiana. Montanelli si guardò bene dall’associarsi al possente coro antifascista. Intuì subito che c’era qualcosa di sbagliato in una inchiesta rivendicata da tre diverse Procure, Padova, Torino e Roma. «Dopo Miceli - scriveva - voglio vedere chi sarà disposto a gestire lo spionaggio o controspionaggio... col rischio di essere sconfessato da coloro che glielo hanno affidato».
Morte di Guido Piovene, prima pagina del 13 novembre 1974. «Guido - annotò Montanelli ricordandolo - era insidiato da una malattia progressiva, senza speranza di guarigione, che gli divorava lentamente i muscoli paralizzandoli... Ormai la sua mente, meravigliosamente intatta e lucida, era unicamente occupata in un colloquio con la morte».

Una delle ultime volte che Piovene era venuto al giornale, come sempre elegantissimo, l’avevo accompagnato al pianerottolo, davanti alla porta dell’ascensore. Tentò di portare la mano fino al bottone di chiamata, ma non ci riuscì. Provvidi io, quasi vergognandomi.

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