Omaggio Riscoprire i manoscritti dell’autore asburgico

Usiamo pure questi aggettivi: struggente, straziante, commovente, toccante. Joseph Roth è stato tutto questo fin nelle fibre più profonde dell’anima e della pagina. Basterebbero La marcia di Radetzky e Fuga senza fine per accorgersene. Dopodiché, difficilmente non si avrebbe desiderio di vedere la mostra che il Musée d’art et d’histoire du Juaïsme dedica allo scrittore principe - insieme a Schniztler - del «mito asburgico» e del suo malinconico, sensuale e sanguinoso tracollo. Fino al 4 ottobre, in Rue du Temple al 71 a Parigi, si potrà visitare «Joseph Roth. L’exil à Paris 1933-1939», rassegna di manoscritti, fotografie, edizioni originali e documenti audiovisivi sugli anni parigini (e molto alcolici) di Roth. Persino Marlene Dietrich, sua grande ammiratrice, tentò di salvare l’autore di Hotel Savoy dal baratro autodistruttivo dove si era lasciato cadereò.

Ma Roth morì in disgrazia nel 1939, poco dopo il suicidio di Ernst Toller, l’autore del Libro delle rondini. Entrambi erano due solitari, proprio perché consapevoli, come si legge in una giovanile poesia di Roth, che «ci sono uomini che dovrebbero dirsi qualcosa, e non la dicono».

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