Quasi un anno fa U-Carmen eKhayelitsha dellinglese Mark Dornford-May vinceva lOrso doro. Eppure non era parsa una grande trovata portare sullo schermo lopera lirica di Bizet in lingua xhosa, ambientandola in una baraccopoli sudafricana; per giunta il terzomondismo peloso del Festival di Berlino, teleguidato dal governo tedesco (come quello del Festival di Cannes è teleguidato da quello di Parigi) faceva pensar male, ovvero che si volesse lusingare qualsiasi cosa provenisse da Paesi in qualche modo germanofoni (lafrikaaner è sostanzialmente il neerlandese). E invece U-Carmen sè rivelato un piacevolissimo film anche per chi - come chi scrive - non va al cinema per sentir cantare, fosse anche bene. U-Carmen ha meritato il premio principale e soprattutto merita buoni incassi, perché esprime la negritudine senza piagnistei, senza risentimenti, senza estetismi.
Interpreti sono solo veri cantanti (Carmen: Pauline Malefane; Jongikhaya, alias Don José: Andile Tshoni), scelti per la voce, dunque, non per lavvenenza, in una felice combinazione di musica memorabile e vita quotidiana, amore e morte.U-CARMEN EKHAYELITSHA di Mark Dornford-May (Sud Africa, 2004), con Pauline Malefane, Andile Tshoni. 125 minuti
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