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L'inflessibile Cantone si scopre garantista: chiesta l'archiviazione per un collega giudice

Mancinetti avrebbe "aiutato" l'ingresso in università del figlio: nessun reato

L'inflessibile Cantone si scopre garantista: chiesta l'archiviazione per un collega giudice

Quando era a capo dell'Anac, l'authority contro la corruzione, era l'implacabile fustigatore di politici e amministratori in odor di tangenti. Adesso Raffaele Cantone è a capo della Procura di Perugia, e anche in questa veste si deve occupare di funzionari dello Stato dalla condotta dubbia. Ma stavolta si tratta di magistrati, di suoi colleghi. E Cantone si è scoperto un'anima garantista. Al punto da chiedere l'archiviazione del procedimento penale contro Marco Mancinetti, giudice del tribunale di Roma nonché membro di punta del correntone centrista Unicost, costretto a dimettersi dal Consiglio superiore della magistratura in seguito al «caso Palamara».

Proprio ai margini di questo caso, era saltata fuori una storia di mazzette che chiamava in causa proprio Mancinetti. La procura di Perugia lo ha indagato per istigazione alla corruzione, però poi ha chiuso il fascicolo con un nulla di fatto. Eppure nelle carte diverse tracce parlavano della disponibilità dell'importante magistrato ad oliare a suon di quattrini la ammissione di suo figlio a un corso di laurea universitario. Ma per Cantone non c'è reato.

Il primo a parlare dei patemi domestici di Mancinetti era stato, tanto per cambiare, l'avvocato Pietro Amara, che ai pm milanesi aveva spiegato che il giudice aveva un figlio aspirante medico, in lotta con il numero chiuso che gli stoppava l'accesso all'università. Anche riuscire a entrare in un ateneo albanese, la «Nostra Signora del Buon Consiglio» era un problema. Così Amara dice di avere messo in contatto Mancinetti con i vertici dell'università romana di Tor Vergata, convenzionata con quella di Tirana. E in un incontro Mancinetti avrebbe offerto una stecca per l'ammissione. Ottomila euro, dice Amara nel suo verbale.

Potrebbe essere una delle tante fandonie messe in giro ad arte dall'ex legale di Eni nelle sue trame imperscrutabili. Peraltro Cosimo Ferri, deputato di Italia Viva, che Amara indica come portatore delle richieste di aiuto di Mancinetti, spiega al Giornale che «di questa cosa non ho mai saputo niente tanto che ho presentato un esposto per calunnia contro Amara alla Procura di Milano»: e i pm milanesi nei giorni scorsi hanno chiesto il rinvio a giudizio dell'avvocato siciliano.

Peccato che, a prescindere dal ruolo di Ferri, qualcosa di anomalo intorno alle ambizioni accademiche del figlio di Mancinetti sembra essersi mosso davvero. Infatti Fabrizio Centofanti, lobbista romano, già sodale di Amara, una sera di tre anni fa va a cena con due docenti romani, Enrico Garaci e Aldo Brancati, entrambi ex rettori di Tor Vergata, armato di registratore. A cena, Centofanti tira fuori la storia dell'incontro che Amara dice di avere organizzato tra il giudice Mancinetti e i vertici dell'università romana. E Brancati che fa? Trasecola, chiede al faccendiere di cosa stia parlando? Niente affatto. L'ex rettore dice testualmente che il magistrato non solo aveva chiesto una intercessione per il figliolo, ma anche a scucire un obolo. «Sì! Ha detto quello che posso fare per lei, professore. No - dico io - non ho bisogno di niente. No, mi dica. No, no. Era pronto a cacciare i soldi».

Quando viene interrogato dai pm milanesi, l'anziano Brancati (classe 1936) svicola, «la voce era certamente la mia ma io limitavo ad assentire ciò che Centofanti diceva». In realtà l'audio, come dicono gli stessi pm, è «inequivocabile». E Centofanti, interrogato, conferma che «Palamara e Mancinetti si erano rivolti a Brancati per un aiuto chiedendogli di conoscere in anticipo i quiz» dichiarandosi «pronti a qualunque cosa». Mancinetti nega tutto, ma per i pm di Perugia è «non credibile», ha interesse a «non raccontare la verità e a sminuire quanto accaduto».

Eppure Cantone chiede il proscioglimento di Mancinetti «perché il fatto non sussiste».

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