Rabbia, dolcezza e ritmo i mille volti di Ben Harper

Il volatile arpeggiare della chitarra, il fondo canto del basso e la voce che aleggia lieve e tenue: così, fin dall’iniziale Morning years, Ben Harper sterza verso approdi folk-blues dopo il gospel intenso del suo ultimo lavoro. Il nuovo album s’intitola Both sides of the gun, e stipa nel primo dei suoi due cidì un colorato campionario di suggestioni liriche, seduzioni pittoriche ed effusioni melodiche. Dall’intreccio quasi contrappuntistico di Waiting for you ai lucori cristallini premessi al fervido crescendo di Picture in a frame, alla parentesi strumentale di Sweet nothing serenade, che mescola enfasi ritmica e grazia cameristica, ecco un bel prontuario di sintassi sonora spiazzante e poliedrico. Cui s’aggiungono le tinte stravinskiane di Reason to mourn, il madrigalismo gentile di Happy everafter in your eyes e, con repentina inversione di rotta, il tamburo baldanzoso di Better way, che inaugura il secondo cidì, il più aspro ed epico.

Ecco così la denuncia agra di Both sides of ghe gun, gli assilli metropolitani di Engraved invitation, la sconvolta New Orleans di Black rain. Tutto ora si fa cupo, «nero», rabbioso. Percorso da ritmi squassanti e riff affilati come spade.

Ben Harper Both sides of the gun (Virgin)

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