Gli schiavi in nero del sindacato

Milano, piazzale Lotto. Ore 6 del mattino. Centinaia di braccia, bianche e nere, si vendono per un pugno di spiccioli l’ora: facciamo 3 euro. Basta attendere poco per non vederli più: giusto il tempo perché passi il solito camioncino con il solito padroncino, che in gergo però stavolta si chiama caporale. Lui cerca lavoro, gli altri lo offrono. Il contratto è una pacca sulle spalle, la clausola è doppia: pagamento dilazionato e dietro gli incidenti c’è solo la Sfiga, quella con la esse maiuscola. In altre parole: la sicurezza è un’utopia e i rischi sono a carico del Cipputi senza tetto né legge. Ortomercato, edilizia: Milano oggi è la capitale della manodopera clandestina. La Scala, simbolo della città, è stata restaurata da braccia «nere» in tutti i sensi. Eppure la metropoli non è marcia. Milano è un paradigma, Milano è l’Italia in scala 1:12.

Insomma è così ovunque; persino dove chi lavora, magari in gonnella, subisce pure abusi sessuali. Si veda sotto la voce «lavoro nero», una patologia del sistema; l’eccezione, non la regola. E vivaddio i mali si curano, ma solo (...)

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