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Patrick de Gayardon, l’uomo che sapeva volare

La vita senza limiti del base jumper francese venne interrotta da un incidente nel 1998, ma il suo lascito resta intatto: sognare l’impensabile

Patrick in discesa con la sua tuta alare
Patrick in discesa con la sua tuta alare

La brigata Gayardon punteggia il cielo sopra Lione con una spruzzata di paracadute colorati. Il panciuto aereo militare sorvola in circolo la zona, rilasciando una pioggia fitta di corpi che planano docilmente verso terra con un click che attutisce l’attrito con l’aria. Prende il nome da Guy de Gayardon, eroe di guerra che seppe distinguersi per spirito patriottico e gesta temerarie.

A tappezzare il cielo, tra i molti che si lanciano come proiettili, c’è anche Patrick, suo bisnipote. Dicono che si tratti di una questione genetica: anche la mamma era paracadutista, ma l’ha strappata via un incidente stradale quando lui era ancora troppo piccolo per tratteggiarne mentalmente il volto. Comunque una differenza c’é: per lui quella è una palestra, non l’obiettivo di una vita.

Dentro l’atmosfera vuole affondarci con passi differenti. Intende abitarla a modo suo. Come quando inizia a dilettarsi con lo Skysurf: praticamente cavalca le correnti ascensionali con una tavola, anziché quella marine. Da lì al base jumping il salto, in tutti i sensi, è questione rapida. Inizia a cercare le pareti più alte, studia i punti di caduta, calcola meticolosamente ogni aspetto di quelle infide discese.

Cova pero dentro un’urgenza fremente. Quel che c’è non gli basta. Un sussurro interiore si gonfia, fino a suggerirgli di prendere i suoi limiti e accartocciarli. Perché, per Patrick de Gayardon, l’uomo deve poter volare. Magari non subito. Probabilmente serviranno anni di intenso studio, ma qualcuno deve pure iniziare. Così progetta una tuta alare che, con quella membrana vischiosa a congiungere le braccia, le gambe e il corpo, lo aiuta a gestire ogni discesa vertiginosa allungandone la durata. Dice di averla progettata osservando gli scoiattoli al parco: le intuizioni più nitide, del resto, raramente citofonano a casa.

Da quelle cime, sovente innevate, Patrick si getta sfruttando un altro fattore determinante: la vicinanza alle pareti rocciose per aumentare la portanza. Un cocktail di fattori che gli consentono di produrre uno spostamento orizzontale superiore a quello verticale: De Gayardon non precipita, plana. In fondo è la cosa che assomiglia più da vicino al volo.

Se ne avvede presto la Sector, azienda che lo elegge a testimonial prediletto per imprese estreme accompagnate da un claim di penetrante ermetismo: no limits. Patrick intende riscrivere il modo di immaginare il futuro: le velleità umane non devono porsi un tetto. Bisogna smetterla di derubricare i nostri sogni al grado di argillose fesserie: “un giorno si potrà volare senza paracadute - dichiara convinto - sono convinto che i miei nipoti ci riusciranno”.

Nel frattempo appiccica gli occhi del globo alla sua tuta fosforescente. Va in Venezuela e si getta dai 979 metri della cascata Angel, probabilmente la sua traiettoria più pittoresca. Si lancia contro il cielo di Mosca da 12.700 metri: all’epoca è il salto dal punto più alto di sempre. Le condizioni più sabotanti lo gasano, anziché sconfortarlo. Scende anche in Polo Nord, da 4mila metri. “Impossibile” è un termine espunto con piglio incrollabile dal suo vocabolario. Un giorno decide di buttarsi da un aereo e, sfruttando le correnti che lo sospingono, tornare a bordo in volo.

Il francese è un uomo che manovra il suo destino. Lo fabbrica come fosse friabile malta, ma la leggenda di Icaro - lo sa anche lui - alita sempre in sottofondo. La sua non è Hybris, l’umana tracotanza di chi pensa di poter sfidare le leggi celesti, ma un rischio di livello altissimo, soltanto parzialmente calcolabile. Trentotto anni. Cielo terso sopra le incantevoli Hawaii. Non sembra proprio uno di quei giorni in cui potresti morire. Le cose peggiori però sono quelle che ti capitano senza notifica, in un assolato giorno di aprile del 1998.

Una porzione di paracadute cucita male. Le funi che si aggrovigliano. Una discesa, l’ultima, senza salvezza. Sogni di cera che si squagliano contro l’ossimoro di un pomeriggio radioso. La morte spesso lambita che adesso pretende il conto.

Forse i suoi bisnipoti voleranno davvero senza nient’altro che una parente modificata della sua wing suit.

Se ci riusciranno, sarà per il coraggio feroce di un avo che ha riscritto il modo di sognare.

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