Donne straordinarie

"Senza le donne non va niente": la rivoluzione in teatro di Eleonora Duse

Eleonora Duse ruppe le regole del teatro ottocentesco, portando i suoi personaggi sul palcoscenico in modo naturale e sincero. Una donna dai mille volti con un talento intramontabile

"Senza le donne non va niente": la rivoluzione in teatro di Eleonora Duse
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Non era necessario comprendere le sue parole. Per riconoscere il grande talento di Eleonora Duse bastava guardarla mentre andava in scena, con le espressioni cariche di sentimenti e il tono di voce naturale e ricco di emozione. Era ormai alla fine della sua lunga carriera teatrale, quando l’attrice calcò il palcoscenico di Los Angeles, recitando in italiano. Era il 1924 e tra il pubblico sedeva anche Charlie Chaplin: “Non compresi una parola - scrisse Chaplin in quell’occasione - ma mi resi conto di essere alla presenza della più grande attrice che avessi mai visto”.

Tutte le donne della Duse

Eleonora Duse fu una donna dai mille volti, capace di esprimere i drammi, le sofferenze e le gioie dei personaggi che portava in scena. Lo fece, per la prima volta, all’età di soli quattro anni, interpretando la parte di Cosette in una versione teatrale de I Miserabili di Victor Hugo.

Nata a Vigevano da una famiglia di attori, trascorse la sua infanzia girando da una città all’altra per seguire la compagnia girovaga in cui lavoravano la madre e il padre. Dopo la sua prima esperienza come attrice, nel 1873, quando aveva quindici anni, divenne la Giulietta shakespeariana a Verona. Fu anche Desdemona e Ofelia, ma a renderla nota e apprezzata dal pubblico e dalla critica fu la drammatica interpretazione di Teresa Raquin di Émile Zola. A quel tempo, Eleonora Duse era una ragazza di appena vent’anni, ma già in grado di catturare gli spettatori, che restavano ammaliati dalla sua recitazione.

Nel corso della sua carriera, la Duse diede voce a decine di donne diverse, dalla Santuzza della Cavalleria rusticana di Giovanni Verga, alla Cleopatra di Shakespeare, fino alla Nora di Casa di bambola di Henrik Ibsen. "Le donne delle mie commedie mi sono talmente entrate nel cuore e nella testa che mentre m’ingegno di farle capire a quelli che m’ascoltano, sono esse che hanno finito per confortare me", disse Eleonora Duse parlando dei ruoli che dovette interpretare.

Dopo gli anni passati nella compagnia itinerante, la Duse entrò nel 1879 in quella Semistabile di Torino di Cesare Rossi, dove diventò prima donna e maturò la sua poetica. Il repertorio della “Divina” era orientato inizialmente versò le opere francesi, tra cui scelse spesso i drammi di Alexandre Dumas figlio. Ma la Duse non si limitava a mettere in scena quelle opere, bensì a smontarle e a riempirle con il suo personalissimo messaggio, che toccava i temi più spinosi della società borghese, dal denaro, alla famiglia, al ruolo della donna, rappresentando una società ricca di ipocrisia.

Le sue donne videro la luce per l’ultima volta il 5 aprile del 1924 a Pittsburgh, pochi giorni dopo essersi esibita a Los Angeles davanti a Charlie Chaplin. Morì il 21 aprile 1924.

La rivoluzione del teatro

Con le sue interpretazioni Eleonora Duse ruppe totalmente gli schemi del tradizionale teatro ottocentesco, fatto di attori abituati a enfatizzare toni e gesti di scena, risultando innaturali. Inoltre solitamente chi recitava utilizzava parrucche e trucco pesante, che davano al tutto un aspetto artificiale.

La “Divina”, al contrario, scelse di rimanere il più naturale possibile, sia nelle modalità di recitazione, che nei costumi e nel trucco. Il suo metodo si basava sull’istinto e, a volte, anche sull’improvvisazione, con lo scopo di dare al pubblico l’impressione di essere un tutt’uno con il suo personaggio. La Duse era solita muovere molto le braccia mentre recitava, senza però esagerare nei gesti, così da rendere il suo corpo protagonista della scena, senza sacrificare la sua spontaneità a discapito di movenza plateali o innaturali. Per interpretare i vari personaggi, la Duse si affidava all’espressività del proprio volto e all’uso sapiente della propria voce, in una perfetta alternanza di silenzi e parole.

In scena inoltre la Duse era solita utilizzare pochissime decorazioni, non si truccava e lasciava il palco quasi sgombro, per dare spazio alla donna che interpretava di volta in volta. “La sua recitazione era ridotta alla più pura e limpida essenzialità - scrisse il regista e attore Sergio Tofano - assolutamente scevra dei tanti barocchismi e capricci vocali cari alle attrici sue contemporanee”. Così facendo, sul palco Eleonora Duse si trasformava nei suoi personaggi e faceva cadere quel velo che divide l’attore e il ruolo che interpreta, annullando la distanza tra la rappresentazione e la realtà e rendendo le sue donne vere, palpabili e naturali, in grado di scatenare nel pubblico i più diversi sentimenti.

Il teatro subì una vera e propria rivoluzione perché le modalità recitative della Duse ispirarono molte attrici del suo tempo e degli anni a venire. Eleonora Duse fu un'avanguardista di quel teatro moderno, che utilizza l'espressività sincera e la naturalezza.

Dalla parte delle donne

“Mentre tutti diffidano delle donne, io me la intendo benissimo con loro! […] Io mi metto con loro”. Lo disse la "Divina", perché la sua bellezza e la sua fama, ottenute negli anni, non l'avevano portata a schierarsi contro le altre donne. Al contrario, lei decise di sostenerle. Quando nel 1909 abbandonò il teatro, si dedicò ad un progetto pensato interamente per le donne. A spingerla in questa impresa fu anche la sua amicizia nata con artiste, scrittrici e intellettuali di inizio Novecento, da Matilde Serao a Sibilla Aleramo, fino alla ballerina Isadora Duncan.

Nel 1914, prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, il progetto era compiuto: Eleonora Duse inaugurò a Roma una Casa delle Attrici, composta anche da una biblioteca, che divenne una sorta di casa-libreria in cui erano benvenute le giovani colleghe. Si trattava di un luogo di incontro e di rifugio in cui le donne che lo desideravano avrebbero potuto sviluppare la propria cultura e discutere dei più svariati argomenti.

Nonostante il successo del progetto, la Casa delle Attrici chiuse dopo un solo anno e i libri vennero donati alla biblioteca per insegnanti, gestita dal Comitato Nazionale delle Donne Italiane. Il suo progetto nato per le donne terminò, ma la “Divina” continuò a stare al loro fianco, seguendo da vicino i primi passi del femminismo italiano, mantenendosi però su una linea moderata.

La vita e il percorso artistico di Eleonora Duse mostrano l’importanza delle figure femminili, sia di quelle che l’hanno accompagnata come amiche, che di quelle che ha interpretato sui palcoscenici di tutto il mondo. La sua fu una vita itinerante, fatta di spostamenti e tournée in Europa e nel Mondo, ma la costante che non cambiò mai fu la sua stima per le donne che metteva in scena e per quelle che la affiancavano. "Senza le donne non va niente - disse - Questo lo ha dovuto riconoscere perfino Dio".

Il legame con d'Annunzio

Nel 1881 Eleonora Duse aveva sposato Tebaldo Marchetti, un attore della sua compagnia. Dal loro matrimonio era nata una bambina, Enrichetta. Ma presto l’unione tra i due risultò infelice e terminò nel 1885 con la separazione definitiva. Proprio in quel periodo, il destino della “Divina” si incrociò per la prima volta con quello dell’allora cronista, poi diventato poeta “Vate”, Gabriele D’Annunzio: era il 1882 e a Roma si incontrarono per la prima volta.

Negli anni successivi ci furono ancora un paio di scambi tra i due e, nel 1992, D’Annunzio fece pervenire all'attrice una copia delle sue Elegie romane, dedicata “alla divina Eleonora Duse”. Nacque da qui il soprannome che la la accompagnò per il resto dei suoi giorni e anche tra i posteri.

Giorno dopo giorno tra l’attrice e il poeta si stabilì un legame sempre più forte che, tra passione, tradimenti, sofferenza e amore, li tenne uniti per circa dieci anni. Quello tra la “Divina” e il “Vate” fu sia un rapporto amoroso che un’alleanza artistica e lavorativa: D’Annunzio infatti avrebbe scritto opere che la Duse avrebbe portato in scena. Con questa idea, compose La città morta ma, al momento di affidare la parte della protagonista, il poeta scelse l’attrice francese Sarah Bernhardt.

Durante gli anni della loro relazione la Duse finanziò spesso la produzione delle opere di D’Annunzio e le assicurò al successo e all’attenzione della critica. La donna, inoltre, fu fonte di ispirazione per il poeta, che negli anni della loro unione compose diverse opere. Il legame tra la “Divina” e il “Vate” procedette tra momenti di vicinanza, passione e collaborazione e periodi di allontanamento, dovuto anche alle tournée della Duse, e di crisi, fino alla separazione definitiva nel 1904.

Eleonora Duse abbandonò il teatro nel 1909 ma, spinta da necessità economiche, vi fece ritorno nel 1921. Nel frattempo, qualche anno prima, aveva visto la luce il suo unico film, Cenere, tratto dal romanzo di Grazie Deledda. Nell’aprile del 1924, dopo essersi esibita a Pittsburgh, Eleonora Duse morì a causa di una malattia ai polmoni.

La sua scomparsa però non fermò il suo talento e la “Divina” continuò a vivere nelle donne a cui aveva dato voce.

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