
Questo nostro tempo è segnato dalla volontà stupida di cancellare il male e la violenza con il rito dell'indignazione. Non c'è alcun intento di conoscere la verità né di porre rimedio all'orrore o almeno di lenire il dolore delle vittime. Lo scopo unico è di selezionare chi si discosta dallo spartito predefinito del politicamente corretto. Il quale nulla ha che fare con la tutela autentica dei deboli, ma è utile per abrogare qualunque pensiero critico rispetto alla gamma dei dogmi progressisti. Non serve che la gente comune voti contro i partiti che ne fanno la loro bandiera, c'è una pretesa di dominio di questa ideologia che si esercita in qualunque ambito e contesto. Quando scattano certi temi, la recita è obbligatoria.
Esempio? Il femminicidio. Vi sottopongo il caso di persecuzione sistematica cui è quotidianamente sottoposto Vincenzo Mauro. Costui è professore di statistica all'Università di Macerata. Si ostina a dimostrare dati alla mano, attingendo da fonti assolutamente garantite, che l'emergenza femminicidio è una bufala assoluta. Naturalmente può esprimersi solo con i suoi brevi filmati, in quanto è considerato «un pazzo criminale». La ragione? Lo spiega al suo pubblico: «Ho detto due cose, l'Italia è tra i Paesi al mondo con meno femminicidi e il fenomeno è pure in calo. Hanno provato a minacciarmi, ma io sono strano, più mi vai contro più continuo. E allora oggi vi racconto tutta la verità sui femminicidi e se vuoi aiutarmi seguimi». E via con i numeri che vi risparmio. Quasi tutti, qualcuno però lo trovate qui: «Il rischio in Italia è tra i più bassi al mondo, 0,6 casi ogni 100.000 donne... Vabbè prof, ma nella fascia dei vent'anni c'è un picco di casi, la cronaca è piena, no? La fascia tra i 18 e i 24 anni ha il rischio minore, la maggior parte sono omicidi di donne anziane che hanno un problemino, non fanno notizia. Va bene prof, ma questi qua sono i dati del '24, ma nel '25 è stata una mattanza, lo dicono tutti sui social, no? In quei casi sono crollati ancora di più e lo dice il ministero dell'Interno. Nel 2025 potremmo essere il Paese al mondo dove le donne
hanno il rischio più basso». A me questo dato fa piacere. E qui lo annuncio con gioia. Ma perché ci fanno credere il contrario? Ogni assassinio di donna, qualunque età essa abbia, è un crimine orrendo di troppo. Ovvio. Ma perché usare l'ignoranza per dettare un sistema di urgenze e di valori fasullo? La vera emergenza sociale, la criminalità più diffusa è l'assassinio del pensiero critico, e l'emarginazione (che equivale a morte sociale) di chi ne è portatore. Rubo le parole al professore Mauro: «C'è un clima isterico, divisivo, bugiardo, che fa danni alla battaglia contro la violenza di genere e serve solo ai finti femministi che fomentano l'odio».
Non caschiamoci, per favore. Funziona così. In un dibattito tivù, o in un'aula, tinello, salotto, spettacolo, viene pronunciata una certa parola amuleto. Già che ci siamo, «femminicidio». Il canone della sopravvivenza prevede si diano rispostine come nel catechismo. Anche i sentimenti espressi con il volto prevedono l'obbedienza alle liturgie della setta woke (una cultura che ci insegue anche al cesso e si propone di lottare contro le parole reazionarie). Il tipo che esce dallo spartito di lacrime e rabbia viene accompagnato nel lazzaretto dei disgraziati e sottoposto a bastonatura morale. Lo sperimento su me stesso sempre più frequentemente: do un giudizio, a volte espresso con una battuta sdrammatizzante. E siccome sono ahimè famoso, vecchio, ribelle ed esposto ai quattro venti come uno spaventapasseri, qualunque cosa dica, mi tirano le pietre. Sono il pretesto perfetto perché si alzino in piedi urlando crucifige, nel teatro della vita pubblica, intere categorie di zelanti cittadini organizzati in falangi. Fornisco un rapido elenco delle truppe che mi affrontano coraggiosamente in masse compatte: i giornalisti, gli islamici, i meridionali (a volte i calabresi, più spesso i napoletani), i gay, i ciclisti, le femministe, specie quelle petulantissime della Rai e del Pd. Non sono singoli esseri umani a lanciarmi giavellotti e sputacchi, un duello uno contro uno ci sta, vanno bene - se sono signore carine - anche due o tre insieme, benché non abbia più l'età.
No, sono entità spesso sconosciute a salire in palcoscenico per il loro quarto d'ora di celebrità. La loro caratteristica? Non vogliono semplicemente replicare, opinione contro opinione, numeri contro numeri, ma esigono che una qualsivoglia autorità singola o associata, ordine professionale o ente pubblico nonché privato, mi faccia scomparire dai giornali, dalle tivù, espellendomi dal consesso umano. Auguri. Non mi feriscono, figurarsi se riescono ad ammazzarmi: non soffro il solletico degli idioti. Dovranno aspettare la mia dipartita. Ho quasi 82 anni, non sono immortale, toglierò il disturbo, anche se non così in fretta come vorrebbero.
Peraltro sono certo che le varie confraternite o consorellite mi inseguiranno anche dopo morto. Da anime belle finiranno di sicuro in Paradiso a incipriare le petunie. Preferisco l'inferno. Il clima è peggiore, ma - come scrisse Mark Twain - la compagnia è più divertente.
Ps: Per dovere di cronaca, mi tocca esibire il mio caso personale. Durante una puntata della trasmissione di Piero Chiambretti, che ha il tono scanzonato e goliardico del citato personaggio, ho pronunciato una battuta. Chiambretti mi chiedeva, onde far satira sul cattivo funzionamento dei braccialetti elettronici inutilmente posti sui polsi di potenziali assassini, dove potesse rifugiarsi una ragazza in fuga per scamparla da un femminicidio. Domanda: «Se trova chiuse farmacie e chiese, dove può rifugiarsi?». (Si capisce con chi ce l'avesse il conduttore? Con chi fornisce ai criminali manette di carta velina).
Ho risposto sullo stesso tono paradossale: «Le donne vittime di violenza possono venire a casa mia. Se sono bone». Traduco: bussate, c'è della brava gente in giro, il mondo non è popolato di stupratori seriali e, dal mio punto di vista, se siete carine è meglio. Anche voi avete il sasso in mano?