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Alfa 6, l'ammiraglia del Papa nelle sue giornate a Milano

L'Alfa 6 ha prestato servizio per Papa Giovanni Paolo II nel 1983, in occasione della sua visita a Milano. Storia di un'ammiraglia sfortunata

L'Alfa 6 al servizio di Papa Giovanni Paolo II
L'Alfa 6 al servizio di Papa Giovanni Paolo II
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A Milano si respira nell'aria frenesia ed eccitazione, mista a una massiccia dose di tensione. Quest'ultima si riesce addirittura a tagliare con un coltello, perché il 22 maggio del 1983 arriva sotto al Duomo meneghino Sua Santità in persona, Papa Giovanni Paolo II. Il capoluogo lombardo, dunque, si tira a lucido per le grandi occasioni, fa uscire dall'armadio l'abito della festa e grazie a tutto l'operoso e instancabile tessuto cittadino, allestisce un caloroso benvenuto al Santo Padre, che giunge direttamente dal Vaticano per celebrare il XX Congresso Eucaristico Nazionale. È anche l'occasione per festeggiare Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, da poco ordinato cardinale proprio da Wojtyla. Qualcuno deve pensare all'accoglienza, occorre un'auto di rappresentanza con la quale sia possibile far viaggiare il Santo Padre in sicurezza per le vie della bella città bagnata dal Naviglio. Fortuna vuole che a pochi passi, ad Arese, ci sia l'Alfa Romeo che è scalpitante nel fornire una macchina idonea alla caratura del personaggio. Dal Biscione, quindi, allestiscono con dovizia il modello che, a tutti gli effetti, è la punta di diamante della produzione interna: l'Alfa 6.

Alfa 6

Quest'ultima è una grande ammiraglia, una vettura imponente che per Papa Giovanni Paolo II diventa ancora più speciale. Ha la tinta della carrozzeria bianca capodimonte, lo stesso colore che hanno gli interni in velluto, che assomigliano al candido manto di una colomba. L'auto viene blindata direttamente dagli specialisti di Arese, che non si fermano a questa modifica, anzi, aggiungono i doppi vetri e tempestano l'abitacolo di policarbonato, mentre nel bagagliaio adagiano il serbatoio dell’estinguente dell’impianto antincendio. Curioso il dettaglio dello scudo cromato della mascherina anteriore, con lo stemma maggiorato; un particolare che contraddistinguerà la seconda generazione di Alfa 6, che avrebbe debuttato a pochi mesi di distanza da quell'evento. In quei giorni il Papa travolse d'entusiasmo tutta la città, specialmente quando fece il suo discorso di impatto in Piazza Cinque Giornate: "Milano è il cuore pulsante dell’economia nazionale e promotrice generosa di iniziative di beneficenza e di carità". Tutto fila liscio, l'Alfa 6 fa il suo dovere, ma nonostante tutto, non entra ufficialmente nel garage del Santo Padre. Dopo il servizio prestato a Giovanni Paolo II, ritorna nelle mani dell'Alfa Romeo ad Arese, per essere collocata su una pedana del prestigioso museo aziendale. L'ammiraglia pontificia non venne mai immatricolata e ha percorso poco più di 1.000 chilometri in quarant'anni. Una storia che rispecchia in modo fedele, il percorso di "vita" sfortunato della grande ammiraglia del Biscione.

Genesi dell'Alfa 6

Il progetto Alfa 6, nome in codice 119, affonda le sue origini nel colpo di coda degli anni '60, quando la fabbrica di Arese vuole rinverdire la sua presenza tra le grandi ammiraglie da "senatore", quelle che corrono in autostrada con possenti motori a 6 cilindri. I progettisti, quindi, arrivano a sviluppare la nuova grande berlina con un rinnovato entusiasmo, perché sono animati da una reale voglia di stupire per contenuti tecnici e per qualità oggettive da esibire nell'auto. Questo modello deve essere un baluardo del lusso, deve trarre ispirazione da un tipico salotto dell'aristocrazia italiana, pur senza tralasciare e dimenticare lo spirito sportivo dell'Alfa. L'ingegner Giuseppe Busso progetta quello che - forse - è uno dei motori più carismatici e iconici della ricca storia dell'automobilismo mondiale, il 2.5 litri V6 che suona così bene, da essere soprannominato il "violino di Arese". Stilisticamente, il Centro Stile pensa a una linea simile a quella dell'Alfetta, che è all'avanguardia e ha già riscosso i consensi del grande pubblico. Le dotazioni, invece, sono futuristiche con una serie di optional mirabili e invidiabili. Il pacchetto finale appare seducente, ha tutte le carte in regola per dare battaglia a chi domina questo segmento. Peccato che all'orizzonte si staglino delle nubi scure, infatti la tempesta è pronta a sconvolgere i piani e i progetti di gloria degli uomini del Biscione. La crisi petrolifera del 1973 arresta le fanfare da euforia, la guerra del Kippur spegne la brillante stella dell'Alfa 6, pronta a debuttare in società in quell'anno. I vertici di Arese pensano che proporre un'automobile dal consumo medio di 7 chilometri con 1 litro di benzina sia un autogol da non commettere, visto il prezzo del carburante ormai fuori controllo. Dunque, l'auto pronta viene richiusa in un garage in attesa di tempi migliori.

Alfa 6

Arrivata troppo tardi

Siamo nel 1979, le tensioni sociali e gli shock petroliferi che hanno contraddistinto gli anni passati sono un amaro ricordo da relegare ai libri di storia. Il management dell'Alfa Romeo ripesca nei suoi archivi il progetto 119, così com'era stato pensato nei primi anni '70. L'Alfa 6, all'improvviso, si ritrova in ballo dopo sei anni di esilio e silenzio. Il problema maggiore è lo scorrere di oltre un lustro di tempo, che nel mondo dell'auto sono un'eternità. Il gusto degli automobilisti e la loro sensibilità è diversa da quella del recente passato, è più proiettata alla decade successiva. Anche l'Alfetta è cambiata, si è ammodernata e ha rivisto un po' del suo look originale. L'Alfa 6 no, entra in scena come un fantasma proveniente da un'altra epoca. Ha il fare di un cavaliere medievale con armatura scintillante, che marcia solenne con il suo destriero, incurante del mondo che intorno a lui è mutato. Il grande pubblico la boccia per l'estetica datata, per le sue proporzioni inadeguate e per la sua abitabilità inferiore a quelle delle concorrenti coeve. L'auto perfetta per il '73 si ritrova fuori luogo all'alba degli anni '80. Le riviste specialistiche la promuovono comunque per la meccanica e per le vibrazioni in grado di scatenare al volante, impreziosite da un motore favoloso. Tutto ciò non ha risentito dell'incedere inesorabile del tempo.

Un insuccesso inevitabile

L' "Alfona", che così veniva amichevolmente soprannominata, non ebbe vita facile nemmeno con la sua seconda serie che debuttò nel 1983. Gli investimenti su tale modello furono minimi, venne semplicemente compiuto un "lifting" che avvicinava lo stile complessivo della vettura alle altre auto della gamma Alfa Romeo di quegli anni. L'Alfa 6 terminò la sua carriera nel 1987, dopo che l'IRI cedette il marchio milanese alla Fiat, che in colpo solo si sbarazzò di lei per rimpiazzarla con la più osannata 164. La sfortunata ammiraglia che fu anche del Papa, invece, venne sacrificata sull'altare del mercato per la visione miope dei vertici Alfa, che per lei non ebbero nessun riguardo. È nata semplicemente fuori tempo massimo.

In ogni caso, ha il merito di aver contribuito alla nascita del V6 Busso, un motore leggendario, e solamente per questo fatto merita di uscire dal dimenticatoio a cui è stata confinata negli ultimi trentacinque anni.

Alfa 6
La seconda serie di Alfa 6

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