Transizione energetica

Utili record, geopolitica, nomine: le prossime sfide di Eni

Le sfide del Cane a sei zampe nel 2023: come si muove Eni tra peso geopolitico crescente e nodo nomine

La sfida di Eni tra i conti record e la partita delle nomine

Eni è stata nel 2022 la società a partecipazione pubblica maggiormente coinvolta nella nuova strategia energetica nazionale. Il Cane a sei zampe e l'amministratore delegato Claudio Descalzi si sono mossi con attenzione per assicurare al Paese e all'impresa forniture energetiche diversificate dopo la graduale interruzione delle forniture dalla Russia. Unendo da un lato un'importante proiezione geopolitica e dall'altro una sinergia con il governo italiano, tanto nell'era di Mario Draghi quanto in quella di Giorgia Meloni, Eni si è affermata come attore indispensabile e vero e proprio proseguimento dello Stato. Più che una partecipata, Eni è stata assieme a Snam l'artefice de facto di una componente non secondaria della politica estera ed energetica.

Eni, impennata di utili nel 2022

Il Cane a sei zampe ha registrato nel 2022 un utile operativo record, di 20,4 miliardi di euro. A contribuire alla corsa del gruppo guidato da Descalzi i risultati eccellenti nel settore dell’esplorazione e produzione di idrocarburi, il cui profitto è lievitato del 70% salendo a 16,4 miliardi di euro. A questi si aggiungono i proventi della vendita di gas (2,1 miliardi) e quelli della raffinazione e della vendita di petrolio e di semilavorati (1,9 miliardi). A 13,3 miliardi di euro, contro i 9 del 2021, l'utile netto.

In fortissima espansione anche gli investimenti e la penetrazione globale di Eni. La compagnia energetica italiana ha lanciato assieme alla britannica Bp la joint venture Azule, dal valore di oltre 2,5 miliardi di euro, operante in Angola e con base nella capitale Luanda, più grande attore energetico privato dell'ex colonia portoghese. In espansione anche l'attività di Var Energy, partecipata norvegese che è stata quotata garantendo alla multinazionale di San Donato Milanese una plusvalenza di 400 milioni di euro. Eni, inoltre, investe 6,3 miliardi di euro nella costruzione di nuovi impianti di estrazione e raffinazione e sta avviando, con Plenitude, un business sempre più ampio di rinnovabili, che hanno attratto mezzo miliardo di euro di investimenti.

Il peso geopolitico di Eni

Sulla base di questi numeri Eni si avvia alla fase delle nomine e del rinnovo del consiglio di amministrazione a cui il governo Meloni e il Ministero dell'Economia e delle Finanze guidato da Giancarlo Giorgetti dovranno provvedere nelle settimane a venire. Eni, infatti, è partecipata per circa il 30% complessivo dallo Stato via Mef e, soprattutto, Cassa Depositi e Prestiti. La più strategica delle partecipate pubbliche svolge in quest'ottica, in questa fase, un ruolo di garante dell'interesse energetico nazionale e il suo futuro va governato con attenzione.

Eni è forse la più "geopolitica" delle grandi aziende italiane. E non poteva non esserlo la società nata settant'anni fa dal genio politico-imprenditoriale di Enrico Mattei, che seppe fare della diversificazione delle fonti energetiche la punta di lancia dello sviluppo del Paese tra il 1953 e il 1962, anno della sua tragica morte. Da Mattei al Piano Mattei, Eni nel 2022-2023 ha contribuito assieme al Ministero degli Esteri e a quello dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica.

Nei mesi è stata articolata la più complessa strategia energetica mai sviluppata dal sistema-Paese italia proprio a partire dall'era del fondatore del Cane a sei zampe. Al fianco di Luigi Di Maio in Congo, di Mario Draghi negli Stati Uniti all'Atlantic Council a ricevere l'imprimatur americano per la sua strategia e di Giorgia Meloni in Algeria e, più di recente, negli Emirati Arabi c'è sempre stata la presenza dell'Eni di Descalzi. Mentre Snam operava il grande gioco dei gasdotti, Eni si è mossa nel puntare a blindare l'asse con Paesi produttori, a intensificare la sua produzione, a sviluppare il grande gioco energetico del Mediterraneo Orientale contribuendo al friend-shoring energetico. Un ruolo di ibridazione strutturale che ha portato, dopo le elezioni politiche, Giorgia Meloni ad accarezzare anche l'idea di portare ad un ministero di peso l'ad oggi a caccia di riconferma.

Le sfide del 2023 e il nodo delle nomine

Per il 2023 la sfida sarà quella di contribuire a ampliare la diversificazione dalla Russia; a proseguire l'espansione delle attività all'estero del Cane a sei zampe; di riprendere gli investimenti nazionali in raffinazione, specie se sarà chiuso il nodo-Priolo, puntando al settore di frontiera dei biocarburanti e a capire i margini d'espansione per l'estrazione gasiera nell'offshore nazionale e per i progetti di cattura e stoccaggio del carbonio.

E in quest'ottica la partita operativa per Eni si sposa attivamente con quella delle nomine. Andrà rinnovato in primavera il cda per il triennio 2023-2026. E assieme a Poste Italiane, Enel e Leonardo il Cane a sei zampe è il piatto più ricco delle partecipate su cui il governo di centrodestra si troverà a decidere.

Descalzi, quarto amministratore delegato dell'Eni dalla privatizzazione degli Anni Novanta, è in piena corsa per un quarto mandato. Una svolta che gli permetterebbe di superare per durata in sella all'azienda, andando oltre i nove anni, tanto Mattei, morto tragicamente a Bascapé nel 1962, quanto il predecessore Paolo Scaroni. "Regista" dell'attuale classe dirigente dell'Eni odierna, promotore dell'ascesa dello stesso Descalzi, Scaroni guidò tra il 2005 e il 2014 l'Eni assieme a manager dal curriculum in seguito molto prestigioso: il suo Direttore delle Relazioni Istituzionali e Comunicazione era Stefano Lucchini, oggi capo della comunicazione istituzionale di Intesa San Paolo; il vice presidente ai Rapporti Istituzionali era Lorenzo Bellodi, oggi analista geopolitico e oggi tra i dirigenti dell'Executive Office of Anti-Money Laundering and Counter Terrorism Finance con sede negli Emirati Arabi; alla guida della Security c'era Umberto Saccone, per decenni alto funzionario dei servizi segreti e oggi top manager della sicurezza in EY. Figure di questo peso seppero essere trasversali agli esecutivi di centrosinistra e centrodestra alternatisi in quegli anni.

Descalzi verso la riconferma, Eni guarda al futuro

La lezione dell'era Scaroni, a cui è successo Descalzi, è importante per capire la congiuntura odierna in cui persistono sull'Eni due istanze. Una è quella operativa che mira al consolidamento dei risultati ottenuti nel 2022. Una è quella pragmatica delle nomine apicali e del rapporto col governo vigente: per questo nelle settimane scorse la Lega ha chiesto per Eni una "discontinuità" che non necessariamente va di pari passo con la sostituzione di Descalzi, del resto mai richiesta formalmente da nessuno e esclusa da Forza Italia e Fratelli d'Italia. Come scrive Adalberto Signore sull'edizione odierna de Il Giornale, il Ministro degli Esteri Antonio Tajani ha del resto blindato Descalzi a nome dei forzisti ai margini della recente visita di Giorgia Meloni negli Emirati Arabi.

L'idea è piuttosto quella di ragionare, assieme, in maggioranza sul futuro dei gruppi aprendo ai partiti le discussioni. E capire a che punto stiano le cose a livello di medio e alto management in gruppi come Eni dopo molti anni in cui a dare le carte è stato il centrosinistra: nel 2014 con Matteo Renzi, nel 2017 con Paolo Gentiloni e nel 2020 con le nomine targate Giuseppe Conte e governo M5S-Pd infatti il Cda di Eni ha visto una predominanza del campo progressista nella rappresentanza dei nomi.

L'obiettivo ora è triplice: preservare la stabilità di Eni nella fase delle nomine; garantire pluralismo alle forze politiche; aprire il capitolo sul futuro dell'Eni oltre Descalzi a prescindere dal giudizio di merito su una gestione operativa che ha consenso nell'azionista di riferimento, il governo. Guido Brusco, direttore generale Natural Resource di Eni, e Stefano Meloni, Head of Domestic Affairs del Cane a sei zampe e vicepresidente, sono profili di manager che lontano dai riflettori lavorano attivamente per le strategie di Eni e nel futuro del gruppo possono aver un ruolo chiave.

Obiettivi a breve e a lungo termine

Nel breve periodo la riconferma di Descalzi come amministratore delegato dovrebbe vedere il consenso delle forze politiche e di governo, mentre la discontinuità chiesta dalla Lega potrebbe comunque prendere piede sulla presidenza del Cda: qui il centrodestra dovrebbe accordarsi per un nome capace di succedere al presidente scelto da Giuseppe Conte nel 2020, l'avvocato Lucia Calvosa. Per Eni si prevede dunque una transizione graduale che nel quadro del rinnovo di cariche contribuisca alla possibilità che il gruppo vigili su entrambi i suoi futuri. Quello a breve, che lo vede attento nella partita della diversificazione energetica.

E quello a lungo termine, che deve portare Eni a consolidarsi come gruppo attivo su tutta la rete dell'energia, dai fossili alle tecnologie per le rinnovabili.

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